Ripensando all'ultimo post e alla questione della decisione che diventa necessità mi è venuto in mente che forse, tra tutti, un esempio è più chiaro e lampante di tutti gli altri possibili: quello del suicidio.
Credo che siano un po' tutti d'accordo sul fatto che, se si escludono gravi forme di malattia mentale, il suicidio sia un atto arbitrario, è la decisione presa dalla coscienza di autosopprimersi, di fare un balzo nel non-essere... Eppure, per il suicida, l'atto di estrema negazione di sé è tutt'altro che arbitrario, al contrario la morte si presenta come una inevitabile necessità. Il suicidio è la volontà che non vede vie d'uscita e si autoelegge a necessità stringente; di fronte a sé vede una sola strada dritta percorribile... la vita diventa scelta inconsistente e abbandonarla è inevitabile...
Per Schopenhauer il suicidio è la Volontà che torna a manifestarsi più virulenta di prima proprio nel momento in cui si crede di essere sfuggiti al suo giogo, è desiderio estremo di vivere come Lei stessa impone, a dispetto del mondo.
Forse su questo Schopenhauer aveva ragione...