Come
costruisce (o, se si preferisce, de-costruisce) i personaggi e le situazioni Dostoevskij non lo
fa nessuno e la lettura di Delitto e castigo non ha potuto che confermare
questo mio giudizio.
All'inizio del romanzo si ha di fronte un fatto, un delitto, ma quanto più si
va avanti tanto più si fa avanti la domanda: che cos'è davvero un delitto?
Perché in fondo è vero, come afferma il protagonista, che l’uomo considerato
fuori dal comune di delitti atroci ne commette e, non di meno, quegli stessi
atti spesso sono passati alla Storia come passi avanti per l’umanità. Forse che
uccidere un solo uomo sia più grave che ucciderne a migliaia? Sembra davvero il
paradosso del chicco di grano e del mucchio! Deriva in buona parte da questo il
tormento del giovane Raskòl’nikov che uccide per capire se la sua personalità
sia quella di un Napoleone oppure quella di un pidocchio qualunque. Siamo un
passo al di là della morale, un gradino più su del bene e del male. La caduta o
il trionfo dipendono dalla capacità di reggere le conseguenze delle proprie
azioni: il delitto sembrerebbe delitto, per il giovane protagonista, solo nel
momento in cui non è condotto fino alle sue ultime conseguenze, e anche allora
resta un delitto più contro l’assassino e che contro la vittima. È un fascino
sinistro ed incomprensibile quello esercitato dai grandi delitti sull'animo
umano, un fascino che osa suggerire che l’unico peccato sta nel castigo.
Ciao Angela, parliamo entrambe di libri, così mi sono unita ai tuoi lettori fissi :) Se ti va di passare da me e di unirti al mio blog, mi farebbe piacere. Mi trovi qui: amicadeilibri.blogspot.it :)
RispondiEliminaCiao Antonietta, ti seguirò con molto piacere :)
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