lunedì 13 maggio 2013

La beatitudine degli oggetti

Noi percepiamo innnanzitutto l'anomalia del fatto bruto di esistere e soltanto in seguito quella della nostra situazione specifica: lo stupore di essere precede lo stupore di essere uomo. Eppure il carattere insolito del nostro stato dovrebbe costituire il dato primordiale delle nostre perplessità: è meno naturale essere uomo che essere e basta. Questo noi lo sentiamo d'istinto; e da questo deriva la voluttà che proviamo tutte le volte che ci distogliamo da noi stessi per identificarci con il sonno beato degli oggetti [E. Cioran, La caduta nel tempo].
Di tutta la citazione, irrimediabilmente, mi resta impigliata nella mente l'ultima espressione: "il sonno beato degli oggetti". Che cosa rappresenti questo stato lo si può esprimere solo con la parola beatitudine, alla quale tuttavia segue, quasi fosse un occulto sinonimo, la parola morte. Essere un oggetto vuol dire sostanzialmente morire alla propria umanità mediante l'annullamento di ogni pulsione vitale. Ogni pulsione è una tensione verso ciò che manca, l'espressione dolorosa di un'assenza: è propria dell'oggetto l'assenza della mancanza stessa dunque della possibilità del dolore. In quanto oggetto l'uomo sarebbe beato: si tratta probabilmente del paradosso dell'umanità che, fin quando resta tale, non può ottenere ciò che più desidera, il non desiderare più.

6 commenti:

  1. Risposte
    1. L'uomo come oggetto non può morire o meglio non avrebbe senso per lui una distinzione tra vita e morte perché non ne sarebbe consapevole... La beatitudine alla fine è un non sapere che esiste la morte...

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    2. sarà che l'essere inanimato dell'oggetto mi rimanda direttamente alla morte come l'inconsapevolezza della morte mi fa pensare ad una non-vita perlopiù breve perché nella beata non consapevolezza della morte l'uomo sarebbe tentato di fare cose che lo condurrebbero ad una più rapida fine. Insomma non mi sembra desiderabile l'inconsapevolezza riguardo il termine dell'esistenza... La beatitudine per me è più un essere consapevoli della preziosità della vita e della possibilità del vivere rispetto proprio alla morte.

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    3. Il problema è che, se si è consapevoli della preziosità di qualcosa, si ha paura di perderla e la paura non è conciliabile con la beatitudine...

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  2. Nella nostra vita tutto è estrema tensione verso un "non più",viviamo nel divenire, in quanto siamo soggetti al divenire in quanto essere divenienti, al trapassare dell'esistenza e della realtà, segue il nostro passare stesso.
    ora, la parola beatitudine, intesa come "il sonno beato degli oggetti", non solo è intramutabile, ma è anche irrigidita all'interno della definizione di una qualità(beatitudine);
    E' possibile che l'uomo possa raggiungere questa qualità mediante la morte, perchè tramite di essa abbiamo il superamento nell'uomo del presupposto insito nella sua condizione esistenziale, ovvero il continuo "non esser più così" proprio del divenire dell'esistenza e dell'uomo stesso.(anche "uomo" sarebbe a sua volta una defiizione in realtà, quindi il paradosso è proprio l'indefinibiltà dell'esistenza, di fronte invece alla rigida definibilità degli oggetti in quanto quest'ultimi non cambiano)
    Dunque con la morte si ha un oggettificazione dell'uomo? chissà, sicuramente è un interessante punto di vista...

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    1. Mi verrebbe da rispondere sì... L'uomo da morto non è più uomo, è cadavere...

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