lunedì 25 novembre 2013

Scimmie che parlano (e si ribellano)

Nei pomeriggi di pioggia (anche se quello di oggi non è stato proprio un pomeriggio piovoso, ma fa lo stesso) che c'è di meglio che restare incollati al pc a guardare un film non troppo impegnativo?
Oggi è toccato a L'alba del pianeta delle scimmie, un film risalente ad un paio di anni fa (2011), diretto da Rupert Wyatt. Alla fine sono stata costretta ad ammettere che non è propriamente il tipo di film che fa per me, tuttavia qualche breve riflessione la merita, in particolar modo sulla condizione di "fuori posto" della scimmia protagonista. Riassumendo: un farmaco rivoluzionario viene sperimentato su una femmina di scimpanzé, ma qualcosa va storto, sebbene dimostri di aver sviluppato una straordinaria intelligenza, l'animale impazzisce e gli scienziati si trovano costretti ad abbatterla. Nella gabbia dello scimpanzé, però, ad attendere c'è una sorpresa: un cucciolo, partorito chissà quando, al quale la madre ha trasmesso l'intelligenza superiore dovuta alla somministrazione del farmaco.
Questa la premessa, si può immaginare cosa succeda all'animale, che cresce sotto la protezione di uno degli scienziati; il minimo che ci si possa aspettare è una crisi di identità, ed è quello che in effetti avviene.
Certamente Cesare, questo il nome dato all'animale, non è un uomo, ma con l'intelligenza che si ritrova (arriverà persino a parlare) non lo si può definire neppure semplicemente un animale. Qual è dunque il suo posto? Il posto, la "casa", alla fine, è lui stesso a sceglierla, dopo una serie di peripezie e non senza danni, principalmente per ribellione nei confronti di chi l'ha creato sembrerebbe. Cesare all'uomo e alla sua tecnica preferisce la foresta e i suoi "simili".
Il film sembrerebbe un attacco alla prepotenza umana che si manifesta attraverso la scienza; io sto ancora a chiedermi come faccia una scimmia parlante, un essere intelligente insomma, a vivere in mezzo ai comuni animali: gli hanno assegnato un posto con troppa facilità.

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