domenica 24 marzo 2013

Bugie senza colpa: settimo risveglio


E col settimo si può chiudere...

SETTIMO RISVEGLIO

Quando aprii gli occhi sul mondo, mi resi conto della stranezza del sogno nel quale ero stato immerso fino a quel momento, se di sogno si era trattato, visto che, fino ad allora, avevo preso per reale tutto quanto e forse, persino in quel frangente, stavo sognando di aver sognato.
C’erano tanti esseri che si affaccendavano sin dai primi istanti del loro risveglio nel mio sogno, mentre io… Cosa stavo facendo io?  Semplicemente mi svegliavo dalla realtà.
Già in piedi e non disteso, senza tutte quelle pratiche particolari che gli esseri del mio sogno avevano messo in scena dopo il risveglio, mi misi in cammino. Era quello il mondo reale, un deserto, nulla di più. C’ero solo io in quel deserto senza costruzioni, senza traccia alcuna di passaggio prima del mio.
Iniziavo a ricordare per quale motivo avessi cercato rifugio in quel sogno, dove tutto era in movimento, dove l’unico cedeva il posto al molteplice, alla varietà. Era volontario il mio sogno? Forse lo era…
Talmente era l’abitudine alla distinzione e all’artificio che quasi mi stupii nello scoprirmi senza uno straccio addosso e totalmente in bilico tra i due sessi. Era stato un gioco, tutto un grandioso gioco della mia mente la distinzione! Di me avevo fatto molti, da un unico sesso indistinto ne avevo ricavati due: era stata una strana esprerienza la scissione e, dopo tutto, avevo creato un gran caos e tanto smarrimento, perché tutte quelle proiezioni di me, in fondo, sapevano di essere uno e che altro era solo un modo diverso per dire io. Davvero una bella messa in scena!
Avanzavo in quello spazio vuoto che, mentre dormivo, avrei definito Nulla e cercai di calcolare per quanto tempo avessi dormito. Ma mi ingannavo ancora! Il tempo era un’altra delle mie invenzioni oniriche, un’altra arbitraria divisione di un’unità indistinta. Non potevo più pensare in termini di tempo; il battito delle mie ciglia era miliardi di anni e i miliardi di anni erano svaniti senza dolore, perché, fondamentalmente, neppure il dolore esiste dove c’è unità: se è la divisione a determinarlo, come può esistere laddove la divisione, in tutte le sue forme, è solo illusione?
Osservai il mio Nulla con amore: era esso la condizione grazie alla quale era stato possibile il mio sogno; eppure di quel Nulla eterno ne avevo avuto abbastanza e così la realtà aveva fatto irruzione nella mia mente. Ma che dico? Irruzione? A dire il vero c’era già da sempre e si era solo resa manifesta nel sogno, il mio sogno reale, con tutte le sue tragiche distinzioni, con la sua bellezza decomposta; è difficile mettere insieme i pezzi di una bellezza in frantumi e, solo in stato di veglia, potevo sapere cosa fosse la bellezza nella sua unità.
Procedevo nel deserto senza ostacoli, perché il Nulla non ha confini, ripensando agli affanni e alle gioie dei miei frammenti umani: era stato come guardarsi in uno specchio andato in pezzi e vedere un numero infinito di sfaccettature di sé. Quale modo migliore per vedersi, osservarsi, conoscersi? I sogni illuminano! Sembra tutto messo a caso e, invece, c’è un filo: io li avevo visti tutti i fili, perché li avevo creati.
Mi fermai in uno degli infiniti non-punti di quel non-spazio del quale ero parte. Ero al punto di partenza perché lo spazio nel Nulla non esiste e tutti i punti di partenza sono punti di arrivo. Non ci sono distanze da percorrere, tutti i punti sono uno solo. Quante distanze avevo escogitato per i miei frammenti umani! Le distanze sono separazioni e le separazioni sono illusioni oniriche.
Richiusi gli occhi e la realtà ricomparve: erano trascorsi tre minuti o tremila anni, per me non c’era differenza. Tutto era come lo avevo lasciato; i miei frammenti umani intenti a percorrere le loro distanze, ad impiegare il loro tempo, a soffrire per le loro differenze, per il loro non essere gli uni gli altri. Soffrono per un’illusione: loro sono i loro altri!
M’immersi nel sogno e ridiventai ciascuno di loro.

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