venerdì 1 agosto 2014

Il delitto è nel castigo?


Come costruisce (o, se si preferisce, de-costruisce) i personaggi e le situazioni Dostoevskij non lo fa nessuno e la lettura di Delitto e castigo non ha potuto che confermare questo mio giudizio.      
All'inizio del romanzo si ha di fronte un fatto, un delitto, ma quanto più si va avanti tanto più si fa avanti la domanda: che cos'è davvero un delitto? Perché in fondo è vero, come afferma il protagonista, che l’uomo considerato fuori dal comune di delitti atroci ne commette e, non di meno, quegli stessi atti spesso sono passati alla Storia come passi avanti per l’umanità. Forse che uccidere un solo uomo sia più grave che ucciderne a migliaia? Sembra davvero il paradosso del chicco di grano e del mucchio! Deriva in buona parte da questo il tormento del giovane Raskòl’nikov che uccide per capire se la sua personalità sia quella di un Napoleone oppure quella di un pidocchio qualunque. Siamo un passo al di là della morale, un gradino più su del bene e del male. La caduta o il trionfo dipendono dalla capacità di reggere le conseguenze delle proprie azioni: il delitto sembrerebbe delitto, per il giovane protagonista, solo nel momento in cui non è condotto fino alle sue ultime conseguenze, e anche allora resta un delitto più contro l’assassino e che contro la vittima. È un fascino sinistro ed incomprensibile quello esercitato dai grandi delitti sull'animo umano, un fascino che osa suggerire che l’unico peccato sta nel castigo.

2 commenti:

  1. Ciao Angela, parliamo entrambe di libri, così mi sono unita ai tuoi lettori fissi :) Se ti va di passare da me e di unirti al mio blog, mi farebbe piacere. Mi trovi qui: amicadeilibri.blogspot.it :)

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