giovedì 31 dicembre 2015

Goodbye 2015

Ormai fedele all'oggi, rinuncio alle belle parole sui buoni propositi futuri, rivolgo quindi come al solito uno sguardo all'anno che è passato per cercare di capire che cosa mi ha lasciato in termini di patrimonio immateriale. Valuto questo 2015 in base ai segni che mi ha impresso addosso, e i segni che mi ha impresso addosso sono altrettanti suggerimenti per il domani.               
Quest’anno ho imparato a scegliere e soprattutto a scegliermi, perché le mie scelte, nel delicato momento del passaggio tra la veglia e il sonno, pesano solo sulle mie spalle e non su quelle di chi mi indica sentieri qualsiasi.          
Alla fine, dopo mille decisioni prese lanciando una moneta, ho capito che il “va bene qualsiasi cosa” non è fatto per tutti, forse per la maggioranza, ma non per tutti, non per me.            
Ho imparato che la volontà va ascoltata soprattutto quando tenta di nascondersi, perché se non parla di giorno finisce per farlo di notte, e la volontà di notte non sa più discutere o ragionare, sa solo urlare e scalciare.                
Quest’anno ho capito che preferisco le mie strette strade fatte di fango e sassi alle grandi vie maestre ben asfaltate… e ogni percorso lo devi sentire e disegnare dentro di te prima di percorrerlo.                
Grazie all'anno che è passato ho capito un po’ meglio che “non abbiamo poco tempo, ma molto lo sprechiamo” in cose futili, e le cose futili spesso sono quelle più importanti per il resto del mondo.
A ciascuno la facoltà di giudicare se stesso! Come diceva un tale Protagora un paio di millenni fa l’uomo è metro di ogni cosa… e di assoluto resta ben poco…    
Buon anno nuovo!

domenica 29 novembre 2015

Amori kafkiani

Ho sempre avuto una forte attrazione per i diari e le lettere di grandi scrittori e artisti e, negli ultimi tempi, mi sono ritrovata a leggere le Lettere a Milena di Kafka prima e le Lettere a Theo di Van Gogh dopo (che tra una cosa e l’altra non riesco ancora a terminare). Dal momento che, come giustamente pensava qualche saggio greco, non si può dare un giudizio di qualcosa che non sia terminato, mi soffermo sulle lettere di Kafka. Confesso che ho deciso di leggerle perché mi sono innamorata prima di tutto di una singola frase: “E forse non è vero amore se dico che tu mi sei la cosa più cara; amore è il fatto che tu sei per me il coltello col quale frugo dentro me stesso”.  A qualcuno suonerà familiare per quel “che tu sia per me il coltello” di David Grossman, ma chi conosce un po’ Kafka saprà che la raccolta di epistole va ben oltre questa singola frase, che costituisce un po’ un’esca dal significato oscuro per chi non ha gli occhi adatti per osservare tutto l’insondabile buio di questo autore.
Partiamo dai fatti che costituiscono il presupposto di quest’opera. Milena Jesenskà era una giornalista e traduttrice, sposata ma a quanto pare non propriamente felice, Franz Kafka un uomo che aveva già un paio di relazioni fallite alle spalle e una cautela folle nell'accostarsi agli esseri umani. Una virgola spostata da Milena in una frase sembra determinare una lunga catena di reazioni in Franz, basta un giorno senza lettere per far presagire una catastrofe e l’uso di una parola piuttosto che un'altra fa la differenza tra una notte insonne e una accettabile.            
Attraverso ogni singola lettera chi legge riesce a fare un passo nella mente del grande scrittore e ad assaporare l’amaro gusto delle sue angosce; perché è qualcosa di quasi visibile quel fumo scuro che si addensa intorno al petto dell’autore e non lo abbandona mai, quel male che lo corrode e che sembra concretizzarsi davvero con la malattia polmonare che lo porterà alla morte. Quella di Kafka sembra paura di vivere, o meglio Kafka sa che non gli è possibile gestire la vita nei suoi aspetti più banali come fanno tutti perché il minimo dettaglio finisce per sopraffarlo. Non sembra esserci una netta distinzione tra l’ordinario e lo straordinario nella vita di questo che a molti doveva apparire come un personaggio ben strano, forse alla stessa Milena, con la differenza che lei non si lascia spaventare, non scappa, ma scava, “fruga” come dice lo stesso Franz (o Frank come lo chiamava lei), esattamente come un oggetto affilato che penetri dentro la carne per saggiarne la consistenza. Ma l’incanto dell’avvicinamento e della compenetrazione non può che durare poco e non soltanto per la condizione di donna sposata di Milena. Kafka si definisce una “bestia silvestre”, un animale selvatico insomma
che, per un attimo, ha avuto l’illusione di poter vivere come uomo, instaurando una relazione a dispetto della propria natura. Lo stop alla profonda corrispondenza, imposto dallo stesso Kafka, è l’epilogo annunciato di una relazione perita per la troppa intensità. E si resta inevitabilmente con un malinconico pugno di domande dopo l’ultima lettera, domande alle quali, probabilmente, neppure i diretti interessati saprebbero dare una risposta.

domenica 11 ottobre 2015

I diavoli di Loudun e l'ebbrezza di massa

A pochi anni dalla fine della seconda guerra mondiale Aldous Huxley scrisse un libro, intitolato I diavoli di Loudun, che ha per argomento un singolare episodio avvenuto negli anni ’30 del XVII secolo e che, è doveroso aggiungerlo, soltanto in apparenza si concentra esclusivamente su quel fatto.
L’episodio (che in realtà si protrasse per anni) delle monache di Loudun, possedute da un esercito di demoni, e il clamore che suscitò nella società dell’epoca, sono lo specchio nel quale  il mondo del XX secolo (e quello del XXI anche) avrebbe potuto guardare se stesso e rabbrividire. Infatti «per quanto grandi, per quanto importanti nel pensiero e nella tecnologia, nell'organizzazione sociale e nel comportamento, le differenze tra ieri e oggi sono sempre periferiche. Al centro rimane una fondamentale identità. In quanto esistono come congiunzione di mente e corpo e sono soggetti al decadimento fisico e alla morte, capaci di dolore e di piacere, guidati dal desiderio e dalla ripugnanza, e oscillanti tra l’anelito di autoaffermazione e l’anelito alla trascendenza di sé, gli esseri umani affrontano in ogni tempo e luogo gli stessi problemi, si misurano con le stesse tentazioni, ed è nell'Ordine delle Cose che si trovino dinanzi alla stessa scelta fra la non-rigenerazione e l’illuminazione.»    
Sono numerosissime le riflessioni di tipo psicologico dell’autore  sul reale stato delle presunte indemoniate, e ciascuna di esse può essere tranquillamente estesa dal caso singolo al generale.  
È nell'Epilogo che emerge il reale sostrato teorico di quest’opera essenzialmente storica. La vera questione, il problema fondamentale è l’uscita dall'io individuale, solitario, la trascendenza di sé appunto. Se qualcuno, di fronte alla parola trascendenza, dovesse pensare ad un movimento dell’io verso l’alto, ad una dissoluzione dell’individualità nello spirituale, sarebbe, almeno in parte, sulla via sbagliata. La maggior parte delle volte, infatti, l’uomo cerca di uscire dall'isolamento dell’io con un movimento discendente e, nella migliore delle ipotesi, orizzontale.         
Dietro queste astrazioni ci sono dei fenomeni ben precisi. Se la trascendenza orizzontale, data dall'identificazione di un individuo con una qualsiasi attività umana, presenta gravi pericoli derivanti dall'adesione acritica a tale attività, ancora più dannosa può rivelarsi la trascendenza di sé orientata verso il basso, che si concretizza in tre forme: droghe, sessualità elementare ed ebbrezza di massa.        
Le prime due, probabilmente, hanno bisogno di pochi commenti visto che le droghe (di ogni tipo, alcol compreso) e la sessualità sono da sempre dei metodi usati ed abusati per annullare la distanza tra sé e il Mondo, metodi che, tuttavia, portano ad un progressivo degrado. L’ebbrezza di massa, invece, merita qualche precisazione in più, per il largo impiego da parte delle dittature del ‘900 e per il ruolo che ebbe nella storia ricostruita da Huxley.
L’uomo che si trovi in mezzo alla folla non perde semplicemente il proprio io, vive uno stato di ebbrezza che lo porta ad una vera e propria demenza, ad un’incapacità di pensare dovuta all'estrema ricettività  della massa di fronte ad un qualsiasi messaggio ripetuto sufficientemente spesso. «Essere in una folla è il migliore antidoto conosciuto contro il pensiero indipendente. Di qui la radicata avversione dei dittatori per la “mera psicologia” e per la vita privata. “Intellettuali di tutto il mondo, unitevi! Non avete niente da perdere , se non il vostro cervello”.»         
Corollario di questa estrema ricettività è la facile infiammabilità e la tendenza ad abbandonarsi ad una violenza inaudita. La massa non è un insieme di individui, è un unico essere esteso e pericoloso; come ebbe a dire Manzoni è un mostro senza testa capace di distruggere tutto ciò che trova sul suo cammino.
Avete presente le adunate del Fascismo e del Nazismo? È proprio di questo che stiamo parlando. Tornata a casa propria, ciascuna delle parti urlanti di quella massa sente la propria coscienza leggera come quella di un bambino, perché la folla ha persino la capacità di diluire il senso di colpa, fino a sublimarlo in una ben strana sensazione, quella di aver fatto il proprio dovere.              
Sentivano di aver fatto il proprio dovere anche gli uomini di Chiesa che mandarono a morte quel loro collega, Urbain Grandier, accusato di aver stregato l’intero convento delle Orsoline di Loudun; in tutto ciò l’occhio del moderno può vedere un clamoroso caso di isteria contagiosa, ben combinata con gli intrighi politico-religiosi dell’epoca, quell'unico corpo che era la folla del ‘600, al contrario, non poteva che vedere stregoni, esorcismi, demoni e miracoli.

sabato 12 settembre 2015

Doveri e assoluzioni

Si sarà capito ormai che ho perso la dote della costanza (chissà poi se l'ho mai davvero avuta!) visto che sarà più di un mese che risulto scomparsa da questa casa virtuale che mi ero costruita... In effetti negli ultimi tempi ho un po' di confusione in testa anche riguardo al concetto di "casa", ma questa è un'altra lunga storia... Il reale motivo di questa assenza, oltre allo studio né matto né disperato per l'Ielts test di oggi, è tutto sommato uno solo: credo di aver sviluppato una sorta di idiosincrasia nei confronti del verbo dovere. Mi spiego meglio; ci sono cose che mi piace fare, le adoro a dir poco e, in cima alla lista, c'è sicuramente la scrittura. Ecco, pian piano, la mia mente "perversa" finisce per trasformare in doveri i piaceri, crea dei vincoli anche laddove non ne esistono; così aggiornare questo blog si era trasformato quasi in un impegno, una cosa da fare per chissà quale recondita ed incomprensibile ragione. Si può essere più sciocchi e masochisti? Be', ora ho capito che il mondo non ce l'avrà certo con me se non sono puntuale, se non sono costante e tutte quelle belle cose lì che fanno tanto ragazzuola per bene... A dirla tutta credo di essermi liberata di una buona dose di egocentrismo deleterio! 
Almeno in questo campo decido di autoassolvermi, tanto poi ci sono mille altre colpe kafkiane delle quale la mia testa mi accuserà, che sia chiaro...

giovedì 6 agosto 2015

L'Idea dell'Amore

Che poesia diventi
l’ossessione senza nome,
che si sciolga in versi
e non desti più dolore.

Posso dirlo Amore
questo demone vorace?
Posso forse ripudiarlo
questo mostro senza pace?

E se fosse mera fiamma
andrebbe incontro alla sua fine,
ma l’incendio che divampa
non si spegne con le rime.

Se lo inchiodo alle parole
mi dà un’ora di respiro,
ma quel vuoto, quel silenzio
in un attimo è delirio.

La violenza di chimera,
l’indicibile rumore
fan brandelli della mente,
fanno scempio in ogni dove,

nel mio corpo ormai avvezzo
alle assenze del suo io
quando i morsi del demonio
non si fermano al desio.

Quando attacca rinnovato
col vigore di una belva
accende i dubbi, fa razzia
come ombra in una selva,

come ombra senza forma
la cui origine si perde
nei concetti senza norma
nelle immagini dilette.

Senza carne e senza ossa
non di meno può ferire,
l’animale che ho allevato
può celarsi, mai sparire.

A. N.



sabato 6 giugno 2015

Due parole su Lucky Bites

Qualche tempo fa la mia amica Marina Carbone mi chiese di disegnare la cover per la sua prima raccolta di canzoni, non perché io sia un'illustratrice come dio comanda, ma solo perché è mia amica... Mi sono messa all'opera e, dopo almeno due o tre tentativi andati male, con una foto scattata da lei a Londra e un pezzetto di uno dei  miei disegni, ce l'abbiamo fatta. 
Questo è stato il mio piccolo contributo (e ammetto che mi sono divertita a darlo, nonostante i tentativi falliti), ma, ovviamente, il lavoro vero e proprio è stato il suo, quello musicale intendo... E dunque ora le sue prime quattro canzoni, nella raccolta Lucky Bites, sono pubbliche e pronte per essere scaricate proprio qui
Non sono molto brava a far pubblicità, né a me stessa né ai miei amici purtroppo, ma consiglierei, a chiunque dovesse imbattersi in questo post, di concedersi qualche minuto per rilassarsi e prestare orecchio... tanto più che è gratis! 
Non credo ci sia bisogno di una recensione, perché chi avrà la pazienza di leggere questo mio breve intervento e seguire il link, ne troverà una molto bella scritta dall'autrice stessa.

mercoledì 20 maggio 2015

Cronache di un colloquio andato male

Come si sarà capito fin troppo bene, ormai sono da un bel po' di tempo alla ricerca di un lavoro, ed è cosa nota che, quando si cerca un lavoro, ci si può imbattere in qualsiasi tipo di offerta... Ed è così che ti capita l'annuncio ambiguo, finalizzato a raccogliere poveri disperati per sbatterli davanti ad un citofono a cercar di vendere gusci di noccioline vuoti. 
Un bel giorno, però, finalmente arriva la chiamata che ha tutta l'aria di essere una proposta serie, in risposta ad un curriculum inviato chissà quando, da chissà dove e non si sa bene a chi (se siete disoccupati in cerca di impiego capirete all'istante che cosa intendo!). 
Così parti e ti fai qualche decina di chilometri tra treno e pullman per andarti a fare questo colloquio, anche se la proposta non è che ti convinca del tutto, perché, in fondo in fondo, sai che tu la "dialogatrice" per strada non riusciresti a farla tanto bene. Ma i dubbi te li metti in tasca e vai comunque all'avventura, ti perdi un paio di volte, maledici la lentezza del cellulare che non ti apre Google Maps, però, alla fine, arrivi sana e salva nel luogo indicato dalla voce al telefono. 
Ci stai due ore lì, tu ed altre quattro persone, ti spiegano che dovrai stare dieci ore in piedi, con la neve o col sole di agosto, che dovrai stare un giorno a Trieste e l'altro a Bologna, ti fanno fare un test scritto dove ti chiedono, tra le altre cose, quanto ti piaccia il rosso, ti fanno fare un paio di simulazioni di "vendita" coi tuoi compagni di avventura... Insomma, alle 12:30 sei fuori. 
Nel pomeriggio ti arriva l'e-mail nella quale ti comunicano che la tua candidatura NON può essere accolta. Pensi alla mezza giornata persa, al mal di testa che ti è venuto, ai soldi che hai speso tra fototessere, biglietti del pullman, del treno e caffè buttati giù come fossero acqua. 
Ricominci da capo.
Se la vita lavorativa proprio non riesce a partire, mi posso consolare parzialmente (ma molto molto parzialmente) con i "successi" letterari. 
Ma vuoi vedere che, forse, il romanzo me lo pubblicano davvero?
Qui, alla voce "Sezione narrativa", il giudizio dato all'opera vincitrice del Premio Jacques Prévert 2015, ovvero al mio romanzo.

lunedì 13 aprile 2015

Incubi limpidi

Ci sono i periodi di sonno normale e poi ci sono quelli degli incubi. 
Nulla di straordinario, si tratta di una serie di notti durante le quali mi sveglio mille volte sotto l'influsso di immagini vivide e per nulla piacevoli. I personaggi dei miei incubi, in genere, sono persone che conosco e che, di punto in bianco, assumono un'aura inquietante. 
La cosa anomala, nelle notti passate, è stata l'ordine col quale i personaggi sono comparsi sulla scena; in genere questi sogni sono particolarmente confusi, i volti non sono ben definiti, le trame si spezzano o si confondono... Ma questa volta, per tre notti, ho avuto incubi limpidi, puliti, chiari come un cristallo... Certo un cristallo grigio, ma pur sempre un cristallo. 
Quando aprivo gli occhi ricordavo tutto come se mi fosse accaduto qualche ora prima e tutto mi feriva come se fosse accaduto qualche ora prima! Forse do tanta importanza ai miei incubi, li amo tanto, perché mi sanno indicare in maniera chiara i miei punti più vulnerabili. I sogni inquietanti sono una scuola perfetta per conoscere se stessi, sono un dito puntato verso le ferite ancora infette, quelle che credevamo guarite, chiuse, suturate con metri di filo ma che, alla fine, si rivelano dei vulcani ancora attivi, pronti ad esplodere e ad uccidere se non si provvede per tempo.

giovedì 12 marzo 2015

Da Sud a Nord

Mi risulta sempre più difficile ritagliare una parentesi temporale per aggiornare questo povero vecchio blog e, per capirlo, basta guardare il progressivo aumento del divario tra una data e l'altra dei vari post. Diciamo pure che la colpa è dei momenti di transizione, che nel mio caso sono duri a passare. Da quanto tempo sto, come si sul dire, "appesa"? Come minimo un anno e mezzo, ma nell'ultimo mese ho voluto strafare, cambiando addirittura regione. Alla fine mi sono lasciata trasportare anch'io dall'ormai celebre flusso migratorio che porta gli italiani a spostarsi dal Sud verso il Nord, dalla Campania verso il Veneto in questo caso particolare.
Commenti sul cambio di regione ne ho pochi, è troppo presto per evidenziare vizi e virtù della provincia di Vicenza. Certo è che un lavoro ancora non l'ho trovato e ho avuto modo di constatare che un laureato in Filosofia, da queste parti, è considerato un animale decisamente strano. Ma esiste una casa per i filosofi?

domenica 22 febbraio 2015

Due consigli per chi vuole scrivere


Oggi mi assumo l’odioso compito di dispensare consigli gratuiti, quelli che irritano tanto, ma proprio tanto, i destinatari che non li avevano richiesti.              
Volevo dire giusto qualche parola sulla scrittura e su quali siano, ovviamente a mio modesto avviso, gli elementi che non possono mancare a chi volesse dedicarsi a questa millenaria arte.         
E dunque, di cosa sto parlando? Semplicemente del fatto che i futuri Luigi Pirandello e Giacomo Leopardi, o presunti tali, dovrebbero rispondere quanto meno a due esigenze:
1) Saper scrivere.           
2) Avere qualcosa da dire.   
      
Qualcuno a questo punto dirà: “E grazie al cavolo! È ovvio che chi si mette a scrivere sappia mettere insieme un soggetto e un predicato!” 
Ma io vi dico, signori miei, che tanto ovvio, purtroppo, non è. Vuoi per la facilità con la quale si pubblicano, al giorno d’oggi, libri di cattivo gusto (quelli buoni no eh! Quelli possono ammuffire nei cassetti…), vuoi per l’incondizionata libertà di accesso ai “mezzi di esposizione” di cui gode il novello scrittore, vuoi, molto più semplicemente, per l’ignoranza dilagante mescolata ad un po’ di insano egotismo, fatto sta che, tra quelli che prendono la penna in mano, sono una minoranza tristemente esigua coloro sanno cosa sia un vocabolario o un libro di grammatica. Mettere in fila quattro parole è cosa facile, mettere in fila quattro parole che abbiano un senso, rispettando le più basilari norme della lingua, richiede giusto quella mezza tacchetta di impegno in più derivante dall'accensione del cervello.       
E qui già mi sento i cori di coloro che si attaccano come delle piovre all'ultima speranza dello scrittore grammaticalmente scorretto: il contenuto. Sì, perché, secondo molti, se c’è il contenuto si può anche sorvolare sulla forma, se il nostro piccolo Svevo è stato capace di donare all'umanità un pensiero più profondo della fossa delle Marianne chi se ne frega se si è scordato le virgole, ha scritto “un pò” invece che “un po’” e ha fatto a pezzi la sintassi come neppure i Futuristi avevano osato fare!
Piano piano siamo arrivati al secondo punto: lo scrittore deve avere qualcosa da dire.         
Sembra banale anche questa, vero? Invece, se vi guardate in giro con un po’ di attenzione in più, vi
renderete conto che la maggior parte di quei capolavori scritti con i piedi sono altamente carenti anche dal punto di vista dei contenuti. Per stravolgere le regole di una lingua c’è bisogno, prima di tutto, di averne piena padronanza, per non parlare del fatto che è necessaria una motivazione profonda per apportare modifiche ed innovare. Ma qui passiamo dalla scrittura, della quale questo post intende occuparsi, alla Scrittura, quella con la S maiuscola, per la quale sarebbe necessario un salto di qualità bello grosso.              
Tornando alla scrittura, pertanto, è tutt'altro che raro trovare il nulla assoluto nella testa di chi dice di scrivere e poi non è capace di legare due frasi in maniera corretta. Certo, è possibile trovare anche il nulla dietro frasi ben costruite, ma qui si dovrebbe aprire una parentesi decisamente troppo lunga.        
Resta valida la massima dei latini, Tene rem, verba sequentur, che, per chi non avesse familiarità con la lingua dell’antica Roma, vuol dire che, se si ha ben chiaro in testa il contenuto, le parole seguiranno. Mi permetto solo di concludere con un paio di aggiunte; in primo luogo, mi sento di dire che questo sia valido per la parola scritta, relativamente alla quale non ci si può appellare ad ipotetiche timidezze paralizzanti, in secondo luogo devo ammettere e sottolineare che ci sono “cose” per parlare delle quali è necessario “inventare” le parole, ma in quest’ultimo caso, ancora una volta, sconfineremmo in territori di ben altro calibro.        

martedì 3 febbraio 2015

Pausa

Avete presente quando seguite il filo di un pensiero e, all'improvviso, quello decide di dissolvervisi sotto il naso, come se non fosse mai esistito? E avete presente quando questo non succede una sola volta, o due, o tre al giorno, ma di continuo? Ebbene da un tempo che non riesco a calcolare con esattezza mi succede proprio questo: mi ritrovo per la testa un "fascio" di pensieri, stanno tutti lì in attesa che li si porti a svolgere la loro traiettoria potenziale, ma, quando provo a seguirne uno fino in fondo, quello evapora.
Lo potrei chiamare dramma del tentativo a vuoto, del buco nell'acqua oppure sindrome da interruzione logica cronica, il succo non cambia. Non riesco più a concatenare i pensieri come vorrei e come dovrei. Le implicazioni logico-deduttive sono temporaneamente sospese. Sono in sospensione forzata da ogni punto di vista: qualcuno ha schiacciato il tasto PAUSA e si è dimenticato di riavviare.