Sapete
quando una, che si è laureata in Filosofia da sei mesi e da altrettanto tempo
cerca e non trova lavoro, si incazza seriamente? Quando prova ad avanzare la
propria candidatura per un lavoro che non le compete neppure lontanamente,
nella fattispecie quello di stramaledetta portalettere presso le Poste Italiane, e le
chiedono la LETTERA DI PRESENTAZIONE!
Dunque ditemi, quali grandiose doti
dovrei mai dichiarare di possedere per essere assunta? Quali doti, se uno dei
tizi che portava la posta dalle mie parti, qualche anno fa, la buttava nei canali
di scolo perché evidentemente era troppa fatica per lui portarla a
destinazione? Quello ne avrà avute di doti, chissà che lettera di
presentazione! Rabbia a parte, la questione è la seguente: a che pro una
selettività che sembra essere solo di facciata? Perché, se di facciata non fosse, il nostro Paese verserebbe in ben altre acque a questo punto, non ci vuole
l’oracolo di Delfi per capirlo!
Credo seriamente che in tempi come questi l’essere snob (choosy avrebbe detto
qualcuno che stava ai piani alti qualche tempo fa) sia quasi un imperativo
morale. Solo così, forse, le cose potrebbero iniziare a tornare al proprio
posto.
Quanto più vado avanti con gli anni, tanto più mi convinco
del fatto che i cartoni animati, certi cartoni animati, non siano solo roba da
bambini. Con Persepolis era ben chiaro e sfiderei chiunque a sostenere il
contrario, qualche dubbio in più, che proverò ad eliminare, qualcuno lo
potrebbe avanzare riguardo al film d’animazione del quale sto per parlare e
cioè Frozen. Il regno di ghiaccio. Pensavo
di mettere in stand-by il cervello per quell'oretta e mezza del film, ma questo
sarebbe potuto accadere se non avessi badato ai “sottintesi”; sono del parere
che ogni film sottintenda un modo di idee, a seconda di quello che sembra dare
per scontato. Non è un caso che il cinema sia stato considerato un potente
mezzo di propaganda dalle peggiori dittature del secolo scorso: fai apparire
come normale, come ovvia, una cosa e la gente penserà davvero che lo sia!
Vediamo, dunque, cosa dà per scontato questo film d’animazione dagli scenari stupendi
(sono attratta dai paesaggi freddi, c’è poco da fare!).
Ci sono due principesse, due sorelle estremamente diverse, la prima della quali,
Elsa, è gravata dal peso di un potere straordinario e pericoloso allo stesso
tempo. Il primo dato interessante è proprio il non dare un’interpretazione
netta, positiva o negativa, del potere della principessa: il potere di Elsa di
congelare qualsiasi cosa tocchi è la possibilità di scelta, è il bene e il male
a seconda di come lo si usi. Solo una cosa può inibire questa possibilità: la
paura di coglierla.
Secondo dato: riconoscere il potere di chi ci sta intorno di far apparire un
dono come una maledizione e viceversa. Nulla in sé è un dono o una maledizione
in realtà, ma se non si sta in guardia di fronte alle opinioni, anche delle
persone più care, la più grande possibilità può diventare un peso opprimente.
Chi siamo e cosa possiamo fare di quello che siamo lo dobbiamo decidere solo
guardando per bene dentro noi stessi e non intorno a noi.
Terzo punto, quello che fa capire che ormai (ed era pure ora!) la visione dei
ruoli sociali sta iniziando a cambiare: se si dà un occhiata ai personaggi si
troverà una principessa, un’altra principessa, un principe opportunista, un
commerciante di ghiaccio generoso, una renna e un pupazzo di neve. Secondo la
tradizione delle fiabe ad ogni principessa spetterebbe un aitante sposo che la
salvi... Secondo la tradizione appunto! Qui, invece, la protagonista, Elsa, non
solo resta felicemente nubile alla fine del film, ma, come profetizzato dai troll,
si rivela anche essere colei che, con “un atto di vero amore”, riesce a salvare
la vita della sorella Anna.
Una principessa che ne salva un’altra era merce rara da trovare nella nostra
cultura!
Credo sia ormai superfluo dare esplicitamente la mia approvazione a questo film,
ma aggiungerei ancora che a suo favore giocano anche le colonne sonore: non a
caso, proprio ascoltandone una, mi sono incuriosita e ho deciso di guardarlo.
Come ho sempre sostenuto, per chi studia o ha studiato Filosofia, quella del tempo è una delle grandi ossessioni: come si controlla, se si può controllare ma soprattutto cos'è? Secondo Kant si tratta di una delle condizioni di possibilità, insieme allo spazio, della conoscenza sensibile, ma, speculazioni a parte, di tanto in tanto anche i filosofi danno di matto e iniziano a giocare col concetto di tempo...
Tra questi strani animali da biblioteca ci sono anche io e, a quanto pare, il mio gioco a qualcuno è anche piaciuto, visto che il raccontino che ne è risultato è stato pubblicato, insieme ad altri 11, in una raccolta dal titolo Time Warp. Storie ai confini del tempo e ritorno.
In questo libricino dalla copertina intrigante (almeno così la vedo io) troverete ogni sorta di fantasia sul tempo applicata a delle storie di vita passata, presente e futura; la mia occupa la posizione numero sei per ordine di comparsa e si intitola (banalmente, lo so!) Il Tiranno. Non anticipo nulla del contenuto, anche perché non so esattamente se il contratto firmato me lo permetta, tuttavia posso assicurare che si tratta di uno scritto non troppo lungo e facile a leggersi.
I restanti racconti sono scritti bene e presentano spunti di riflessione interessanti riguardo al tema centrale, quindi direi che valga la pena di passarli in rassegna tutti: è incredibile quanto possa essere prolifica la mente umana quando pensa ma soprattutto quando si arrovella su certi argomenti!
Nel caso avessi stimolato la curiosità di qualcuno, ecco dove è possibile trovare il libro: qui.