sabato 30 agosto 2014

Quando il diavolo di Bulgakov arriva a Mosca

Da un romanzo che ha per titolo Il maestro e Margherita ci si aspetterebbe la più classica tra le storie d’amore, magari condita con una buona dose di destino avverso, e difficilmente si penserebbe che un gruppo di demoni, capeggiati da Satana in persona, siano di fatto i personaggi principali dell’opera. In verità hanno poco di puramente malvagio questi diavoli che giungono nella capitale russa sotto mentite spoglie, addirittura suscitano simpatia vista la vocazione da buffoni che mostrano in certi momenti; abbiamo Korovev, la figura lunga a quadri, Behemot, il gatto che cammina eretto sulle zampe posteriori, Azazello, il demone guercio e zannuto dai capelli rossi, Hella la strega perennemente nuda ed infine, Woland, Satana stesso travestito da esperto di magia nera.      
Per tutto il romanzo ho cercato di capire cosa mai avrebbe potuto indurre un così
singolare gruppo a scomodarsi per mettere piede sulla terra e proprio qui deve entrare sulla scena lui, il maestro, insieme alla sua amante Margherita. Questo stuolo di demoni che terrorizza o fa spiacevoli scherzi a chiunque, infatti, sembra invece rimettere a posto la triste storia di Margherita, che ha ormai perso da tempo le tracce del maestro. Quest’ultimo, sparito dopo le critiche negative mosse al suo romanzo su Ponzio Pilato, è stato in realtà ricoverato in una clinica psichiatrica; proprio questo romanzo del maestro sembra essere il filo dipanato da un capo all'altro del romanzo di Bulgakov, che si apre con una discussione sull'esistenza del diavolo, che, sotto le mentite spoglie di Woland, finisce col raccontare di aver assistito personalmente alla condanna di Cristo, e termina con l’assoluzione di Pilato, liberato dalla sua condanna eterna grazie alle parole del maestro. 
Certo il tutto fa supporre un qualche intervento divino, e questo strano Woland coi suoi demoni si presta stranamente a farsi strumento di quello che per tutto il romanzo viene definito un filosofo, quel Jehoshua che Pilato, anche se a malincuore, fa condannare. Il romanzo del maestro, bruciato e restituito al suo autore da Satana grazie all'intercessione di Margherita, può concludersi solo dopo l’assoluzione di Pilato oppure sarebbe meglio dire che la conclusione del romanzo assolve Pilato e questo evento scritto magicamente diventa evento reale.     
E su questo singolare intreccio tra bene e male valgano le parole dello stesso Woland a Levi Matteo, seguace di Jehoshua: «Sii tanto cortese da riflettere su questa domanda: che cosa sarebbe il tuo bene se non ci fosse il male, e come apparirebbe la terra se non ci fossero le ombre? Le ombre nascono dagli oggetti e dalle persone. Ecco l’ombra della mia spada. Ma ci sono le ombre degli alberi e degli esseri viventi. Non vorrai per caso sbucciare tutto il globo terrestre buttando via tutti gli alberi e tutto ciò che è vivo per godere nella tua fantasia della nuda luce? Sei uno sciocco».     
                                         


venerdì 1 agosto 2014

Il delitto è nel castigo?


Come costruisce (o, se si preferisce, de-costruisce) i personaggi e le situazioni Dostoevskij non lo fa nessuno e la lettura di Delitto e castigo non ha potuto che confermare questo mio giudizio.      
All'inizio del romanzo si ha di fronte un fatto, un delitto, ma quanto più si va avanti tanto più si fa avanti la domanda: che cos'è davvero un delitto? Perché in fondo è vero, come afferma il protagonista, che l’uomo considerato fuori dal comune di delitti atroci ne commette e, non di meno, quegli stessi atti spesso sono passati alla Storia come passi avanti per l’umanità. Forse che uccidere un solo uomo sia più grave che ucciderne a migliaia? Sembra davvero il paradosso del chicco di grano e del mucchio! Deriva in buona parte da questo il tormento del giovane Raskòl’nikov che uccide per capire se la sua personalità sia quella di un Napoleone oppure quella di un pidocchio qualunque. Siamo un passo al di là della morale, un gradino più su del bene e del male. La caduta o il trionfo dipendono dalla capacità di reggere le conseguenze delle proprie azioni: il delitto sembrerebbe delitto, per il giovane protagonista, solo nel momento in cui non è condotto fino alle sue ultime conseguenze, e anche allora resta un delitto più contro l’assassino e che contro la vittima. È un fascino sinistro ed incomprensibile quello esercitato dai grandi delitti sull'animo umano, un fascino che osa suggerire che l’unico peccato sta nel castigo.