domenica 27 aprile 2014

L'uomo-ombra: una Critica a chi critica

L’animale uomo è qualcosa di ben strano, se lo si osserva attentamente ci si rende conto che nasconde (più o meno!) una serie di meccanismi perversi tra i quali uno, nelle sue varie forme, si ripropone di continuo, mascherato da semplice, per quanto fastidiosa, abitudine. Parlo della consuetudine tanto diffusa dell’individuare e condannare le mancanze altrui e che, secondo il mio modesto parere, nasconde ben altro rispetto alla mera critica fine a se stessa. Il vero problema è che, quando qualcuno è tanto sollecito nel portare alla luce e sottolineare il difetto dell’altro, implicitamente sta anche ammettendo che quel difetto, lui che sta criticando, reputa di non averlo. In altri termini, sottolineando che X difetta di qualcosa, implicitamente si sta dicendo che X è inferiore a noi in quel qualcosa, dunque nella critica (quella che i difetti li crea ad hoc!) vi è una vera e propria autoesaltazione di chi critica.    
Questa logica, però, si può espandere, in quanto funziona tanto per il singolo individuo quanto per i gruppi dei quali fa parte.  
Virginia Woolf in “Una stanza tutta per sé” rinviene questo meccanismo di auto-celebrazione nell'intero genere maschile, almeno per quanto riguarda i secoli passati (ma la questione è più attuale di quanto si pensi!); per lungo tempo l’uomo, inteso qui come maschio, ha visto nella donna una sorta di specchio che ingigantisse il suo ego: nel dichiarare e sottolineare l’inferiorità della donna sottintendeva la propria grandezza. “Per tutti questi secoli le donne hanno avuto la funzione di specchi, dal potere magico e delizioso di riflettere raddoppiata la figura dell’uomo” dice la Woolf, e si intende che il potere fosse magico e delizioso per i soli uomini! Che il tutto si basasse (si basi) su un assunto che è in sostanza un pregiudizio era cosa poco rilevante se paragonata ai vantaggi ricavabili in termini di sicurezza; e che la sicurezza così ottenuta avesse i piedi di argilla, come il gigante del diffuso modo di dire, è ancora un’altra questione…              
Tornando al problema principale, qualche riga più avanti la Woolf continua, riportando anche degli esempi più che chiari: “Qualunque sia il loro uso nelle società civilizzate, gli specchi sono essenziali a ogni azione violenta ed eroica. Perciò Napoleone e Mussolini insistono tanto enfaticamente sull'inferiorità delle donne, perché se esse non fossero inferiori cesserebbero di ingrandire loro”.           
Il discredito gratuito, a quanto pare, fonda intere personalità. Identità apparentemente solide altro non sono che pallide ombre, ovvero un negativo, generato solo grazie al fatto che un oggetto ha coperto il sole. L’ombra è l’ego, tanto più grande quanto più forte è il meccanismo che impedisce di vedere la realtà per quella che è. Tutto ciò che circonda l’uomo-ombra, in tutte le sue accezioni, è strumentalizzato, finalizzato alla sua auto-celebrazione; altro presupposto fondamentale perché l’auto-ingigantimento sia efficace, infatti, è la riduzione dell’altro a cosa. L’oggetto di disprezzo dell’uomo che passa la vita a “parlar male di”, lo straniero per lo xenofobo, la donna per il maschilista, è l’Altro irriducibile che non potrà mai essere soggetto come loro, perché la persona per eccellenza, il Soggetto, sono solo loro e l’altro è solo un mezzo attraverso il quale nutrire il proprio Sé.         
Di casi singoli se ne incontrano in abbondanza nella vita di tutti i giorni ma anche i casi collettivi sono sotto gli occhi di tutti; un esempio, oltre quello del maschilismo, valga per tutti: la Lega Nord. 
Sono ben pochi ormai quelli che non conoscono i suoi slogan; ma il problema sostanziale della Lega è che tutte le sue “idee” non sono nulla di più di un NO continuo, una critica incessante a immigrati, omosessuali, meridionali, politici di Sinistra e via dicendo. L’identità leghista emerge dal continuo sottolineare le mancanze altrui, il collante di quell'identità è lo sminuire l’altro, come la base dell’identità del maschilista è lo sminuire la donna.               
Mai come in questi casi è adatto l’appello nietzschiano a difendere i forti contro i deboli!

giovedì 10 aprile 2014

Piccola apologia delle discipline umanistiche


Bazzicando in rete, quando non si ha qualcosa di preciso da fare, ci si può imbattere in discorsi e battibecchi quanto meno irritanti, soprattutto quando tirano in ballo quello a cui stai praticamente dedicando la tua vita.              
E dunque, la questione è la seguente: l’imbecille di turno (mi si conceda di chiamarlo tale perché di altro non si tratta!), che è solo il rappresentante ideale di tanti suoi simili, deride/disprezza chi decide di intraprendere un percorso di studi umanistici (nel caso particolare si trattava proprio della mia filosofia) perché non dà lavoro subito, ma, soprattutto, non darà mai soldi a palate! Dopo tutto si sa, continuava il grande uomo di mondo nel suo pseudo-ragionamento, se un percorso di studi non porta a riempirsi le tasche è inutile, non ha alcuna ragion d’essere e coloro che lo scelgono sono un branco di cretini, futuri pezzenti, da commiserare nella migliore delle ipotesi!      
Qualcuno ha messo un po’ in moto il cervello ed ha osato rispondere a cotanta saggezza che, dopo tutto, dei soldi ce ne facciamo ben poco se poi siamo costretti a fare per tutta la vita un lavoro che non ci piace e, aggiungo io, se siamo costretti a passare svariati anni sui libri di una disciplina della quale non abbiamo nessuna considerazione se non in relazione ai soldi che ci potrebbe far guadagnare in futuro.        La risposta, ovviamente, è stato un ritornare sui soldi ignorando l’argomento lavoro…                 
Ora mi chiedo, sinceramente, se una persona con un briciolo di cervello possa davvero pensare di svolgere una professione badando solo all'aspetto economico, come se in fondo si potessero ignorare tutte le ore che uno trascorre a lavorare e pensare solo al momento in cui ci ritroviamo il compenso tra le mani. Il lavoro che si sceglie di fare, che si voglia o no, ci caratterizza e a lungo andare diventa parte della nostra identità.            
Questo non è certo un modo per dire che il denaro non serva a nulla, di quello c’è sempre bisogno, ma, mi si scusi la banalità, è possibile davvero vivere in funzione del denaro, scegliere un lavoro solo in base al denaro, scegliere chi essere esclusivamente in base al denaro?          
Il lavoro è un mezzo di sopravvivenza che è, allo stesso tempo, fine dell’esistenza di un essere umano; il denaro è un mezzo e basta e, dopo decenni e decenni di teorizzazione in proposito, non posso fare a meno di constatare che un po’ di filosofia a certa gente servirebbe con estrema urgenza, perché possa capire quanto meno su che strada sta muovendo i propri passi. 
Passiamo al punto dolente, il fatto che parlo anche per esperienza personale: laurea in filosofia e niente lavoro.           
“Lo vedi!” mi direbbe compiaciuto (e di fatto lo dice) qualcuno dei “saggi signori” nominati all'inizio.     
Ma la mia risposta, e spero quella di molti nelle mie stesse condizioni, non può che essere questa: nessuno di quelli che intraprendono un percorso di studi umanistici è tanto ingenuo da credere di trovare un lavoro il giorno dopo la laurea o di far soldi a palate una volta trovata un’occupazione; ma qualcuno dei grandi praticoni che si aggirano nel mondo, virtuale e (purtroppo) non, ha forse mai pensato che, probabilmente, non era quello, i soldi a palate, il fine di chi ha fatto una scelta del genere?       
Forse faremo la fame, forse lavoreremo solo dopo i 40 anni, ma quanto meno eviteremo la frustrazione perenne derivante dal non essere nel posto in cui volevamo essere e, a confronto di questa, la frustrazione del non trovare lavoro sembrerebbe quasi cosa da poco.         
Grandi ingegni pratici, interrogatevi! Sempre che non abbiate paura di mischiarvi con i filosofi...

sabato 5 aprile 2014

Intervista post Time Warp


Dopo la già annunciata pubblicazione della raccolta di racconti Time Warp, è giunta persino l'ora dell'intervista! Non ci credevo neppure io ma la prova la si trova esattamente qui.
Tra le altre cose, rispondere ad un paio di domande, mi ha aiutata a ripensare a quello che avevo scritto a distanza di tempo, la qual cosa non guasta mai.