sabato 31 dicembre 2016

Auguri 2017


Gli insegnamenti di quest’anno li affogo nel silenzio. Col volgere dell’anno vorrei cancellare ricordi e paure, ma so fin troppo bene che non è cosa umana modificare ciò che è stato. Avere la forza di cambiare i miei occhi… questo forse si può…     
Qualche anno dura più degli altri, per la quantità di vita che con violenza inaudita vi si insinua; la subdola vita si infiltra furtiva tra i giorni, tra le ore, persino tra i minuti e appesantisce quei dodici mesi altrimenti destinati a volare via impietosi. Cosa sia meglio non l’ho ancora capito, se l’anno che vale doppio o quello che slitta via come un’anguilla silenziosa. Cosa sia meglio (questo l’ho capito) non lo potrò mai stabilire a priori, dovrò sporcarmi di esistenza e capirlo sempre e di nuovo ad ogni caduta.
È così che, per questo 2017, posso solo augurare questo:     

che dal fango di tutte le nostre rovinose frane, dalle crepe dei più devastanti terremoti della nostra interiorità nascano dei fiori che nessuno ha mai visto prima, perché, come diceva uno più grande di me, “dai diamanti non nasce niente, dal letame nascono i fior”;

che la bellezza riesca a farsi strada attraverso gli interminabili strati di oscurità che troppo spesso troviamo lungo la nostra strada, perché, se tutto è allo stesso modo senza peso, un solo grammo di bello può fare la differenza tra un giorno perso e uno da ricordare;                            

che un senso al dolore giunga sempre a giustificare ogni nostra sofferenza, perché la sofferenza senza senso è la via più breve per la follia;           

che le ferite della mente possano trasformarmi nello spazio necessario per la sua stessa crescita, perché la frattura è il presupposto per l’espansione se si riempie il vuoto con nuova coscienza;          

che la consapevolezza accompagni ogni minima azione che compiamo, perché le cose fatte senza consapevolezza finiscono nell'oblio ed è come se non fossero mai esistite;            

che la forza di cambiare noi stessi non ci abbandoni mai, perché nulla resta uguale nel tempo e, per sopravvivere e saltare da un anno ad un altro, bisogna compiere tutti i differenti passi che la danza chiamata Vita richiede.

Buon 2017

lunedì 22 agosto 2016

Eterno presente

Il tempo dell'inconscio è l'eterno presente... Ogni cosa accade ora e per sempre, e coesiste con tutte le altre che sono accadute... Non esiste distinzione tra un prima e un dopo... Qualsiasi cosa mi sia successa si ripete ad ogni istante, resa intollerabile dalla forza di tutte le altre cose intollerabili... È un attimo eterno che non si muove, è sempre attuale e ineliminabile, come la peggiore delle maledizioni... Ripeto perciò le stesse cose, ritorno sugli stessi punti. Il perché è tutto qui: il passato non esiste, dal momento che nulla è davvero passato. È tutto qui sotto i miei occhi, ora e sempre, nella sua destabilizzante consfusione. È davvero l'eterno ritorno nella sua realtà più cruda e crudele...

lunedì 20 giugno 2016

Su volontà e necessità: il suicidio

Ripensando all'ultimo post e alla questione della decisione che diventa necessità mi è venuto in mente che forse, tra tutti, un esempio è più chiaro e lampante di tutti gli altri possibili: quello del suicidio.
Credo che siano un po' tutti d'accordo sul fatto che, se si escludono gravi forme di malattia mentale, il suicidio sia un atto arbitrario, è la decisione presa dalla coscienza di autosopprimersi, di fare un balzo nel non-essere... Eppure, per il suicida, l'atto di estrema negazione di sé è tutt'altro che arbitrario, al contrario la morte si presenta come una inevitabile necessità. Il suicidio è la volontà che non vede vie d'uscita e si autoelegge a necessità stringente; di fronte a sé vede una sola strada dritta percorribile... la vita diventa scelta inconsistente e abbandonarla è inevitabile...
Per Schopenhauer il suicidio è la Volontà che torna a manifestarsi più virulenta di prima proprio nel momento in cui si crede di essere sfuggiti al suo giogo,  è desiderio estremo di vivere come Lei stessa impone, a dispetto del mondo. 
Forse su questo Schopenhauer aveva ragione...

sabato 18 giugno 2016

Ascoltando i non-pensieri

Oggi pensavo che l'incapacità di articolare i propri non-pensieri in una forma definita forse dovrebbe essere ogni tanto assecondata, lasciando che vengano a galla anche quelle mezze sentenze che la parte più profonda della mente trasmette alla sua socia cosciente...
Così viene alla luce che credo sempre alle persone che hanno dato il peggio di sé... perché... perché semplicemente non fingono buoni sentimenti che non hanno... 
E viene fuori che mi fido dei giudizi negativi perché mi fanno pensare, mi distruggono le sicurezze e mi fanno evolvere... perché quello che voglio di più è cambiare in continuazione... Desidero fortemente la morte della me stessa di un'ora fa...
E poi mi trovo a riflettere sul perverso meccanismo che trasforma la volontà in necessità... È la decisione, implacabile, inevitabile nella sua aleatorietà... È l'impercettibile salto tra la possibilità e l'essere in atto, che si consolida man mano in storia individuale. 
È tutto fumo, ma fingiamo che non possa non essere...
  

martedì 26 aprile 2016

Viaggio attraverso il Cilento: I Borghi dei Misteri

Le cose che ci sono più vicine, paradossalmente, sono quelle che ci incuriosicono di meno, che suscitano in noi meno interesse. A tal proposito devo confessare la mia colpa e ammettere che la terra nella quale vivo non mi aveva mai impegnata in grandi riflessioni, tuttavia, proprio negli ultimi giorni, ho letto un libro che ha cambiato un po' di cose, vale a dire l'opera di Gennaro Guida, I Borghi dei dei Misteri.
“Ricordati che alla fine di tutto, questa avventura la devi scrivere e raccontare in giro: sarai ricordato come il primo cavaliere cantastorie” dice il folletto Kuscio congedandosi dal cavaliere dopo il loro primo incontro. E il protagonista di queste avventure di fatto racconta in prima persona del suo girovagare attraverso i borghi più suggestivi di una terra, il Cilento, che sa di antico ancora oggi, nel XI secolo. Immergersi in questo libro vuol dire fare un viaggio e lasciarsi condurre dagli occhi del cavaliere in un mondo nel quale natura e magia coesistono e si intrecciano indissolubilmente. Le creature provenienti direttamente dall’immaginario popolare, dalle leggende tramandate di generazione in generazione appaiono al protagonista con estrema naturalezza, si presentano a lui come parte integrante della realtà di ogni giorno e non come eccezione, tanto che, ad un certo punto, egli smette di stupirsi e accetta spettri e animali parlanti come esseri pienamente naturali. Questo aspetto del libro rende perfettamente l’idea di che cosa sia il soprannaturale per chi vive nel Cilento: un evento quotidiano, che accompagna e arricchisce (a volte tormenta anche) il vivere di una popolazione abituata allo straordinario. Non lasciano dubbi le descrizioni dei borghi contenute in questo libro, e se ce ne fossero le foto che accompagnano la narrazione donano ancora più chiarezza: le terre che fanno da teatro alle avventure del cavaliere sono toccate da una bellezza fuori dal comune, hanno il fascino senza tempo che si trova solo nei luoghi dei miti e delle leggende. 
Ma perché il mistero si palesi e non si presentino agli occhi dei semplici borghi come tanti ce ne sono sparsi per il mondo, c’è bisogno della capacità di vedere; parafrasando Sant’Agostino solo chi è predisposto ad accogliere lo straordinario può vederlo e, pertanto, l'incredibile si rivela soltanto allo sguardo di chi sa coglierlo. 
In questa storia il cavaliere è colui che vede; laddove gli altri assistono a fenomeni inspiegabili e spaventosi lui conosce le cause, le comprende e prosegue il suo viaggio, arricchito nel suo bagaglio di conoscenza del mondo. 
Diverte e affascina il lettore la familiarità con la quale il protagonista si confronta con spiriti buoni e malvagi, forse per quella sorta di distacco che fa sì che egli giunga alla conclusione puro come all’inizio, con gli occhi e lo spirito di un bambino. È proprio questa purezza di cuore che regala al cavaliere, alla fine, l’amore di una dama, come in tutte le migliori storie di cavalleria.
Il miglior modo per conoscere un luogo è osservarlo con sguardo incontaminato, come se lo si vedesse per la prima volta, e questo libro riesce a regalare proprio questo, un punto di vista privilegiato su un mondo sospeso tra realà e fantasia.

sabato 26 marzo 2016

Un grazie per Animacustica

Confesso che nelle ultime settimane lo stress lavoro-correlato mi è arrivato fin sopra i capelli, tuttavia qualche giorno fa, per posta, mi è arrivato un pacchetto decisamente gradito, il cui contenuto ha avuto la capacità di farmi fermare e staccare per un po' lo sguardo dallo schermo del pc. Il nome della mia piacevole distrazione (sebbene alcuni dei contenuti siano decisamente seri) è Animacustica e si tratta del cd di un cantautore con il quale ho la fortuna di poter comunicare direttamente: Francesco Macaluso. 
Non mi intendo di musica dal punto di vista tecnico, quindi so solo che i 10 pezzi che compongono l'album hanno avuto la capacità di smuovermi emotivamente dal primo all'ultimo... Certi suoni hanno la forza di creare un mondo, e quello che riesce a costruire quest'album è decisamente accogliente, avvolgente, tanto da farmi restare con le dita sospese a mezz'aria sulla tastiera del computer più e più volte... Che dire... vorrei poter descrivere meglio le sensazioni trasmesse da ogni singola traccia, ma faccio prima a consigliarne direttamente l'ascolto. 
Un grazie a Francesco!  

giovedì 25 febbraio 2016

Spettri

Ho bruciato lettere d'amore,
altre le ho ingoiate ed eran vetro,
cocci azzurro ghiaccio e grigio tetro,
ruvidi rudi prodotti del mio umore.

Ho ridotto in pezzi e fatto scomparire 
cadaveri di sensi e sentimenti,
quei corpi di reato non redenti
votati al peccato e nati per perire.

Adesso li ho davanti ad uno ad uno,
chiedono riscatto e son spettrali,
tremuli fantasmi sì reali
da farmi il cuore terra di nessuno.

Angela  Nese

lunedì 22 febbraio 2016

Nota #3 a Le tele di Valerie: trama in sintesi

In genere le recensioni le scrivo per i libri degli altri, come è giusto che sia, visto che nessuno si fiderebbe del giudizio dato da qualcuno sul suo stesso libro; tuttavia oggi cerco di fare l'esatto opposto di quello che faccio di solito, ovvero, anziché soffermarmi sulle riflessioni, sulle sensazioni che lo scritto suscita in me, mi soffermerò sulla trama, proponendo in estrema sintesi il contenuto del romanzo.
E dunque, cosa ci si deve attendere da questo Le tele di Valerie? Quanto meno quello che segue...

Valerie non varca la soglia del giardino della propria casa da oltre cinque anni. Trascorre le giornate in compagnia dei suoi cinque gatti, cercando di imprimere sulle tele l'informe caos che le si agita dentro, ripetendo ogni giorno gli stessi identici gesti. L'insolito comportamento di Valerie, unitamente al fatto di aver trascorso dei mesi in una clinica psichiatrica, contribuisce a consolidare il pregiudizio che la vuole irrimediabilmente folle. Il giovane Orazio, per lungo tempo, osserva la donna da lontano, fino a quando una banale coincidenza gli offre l'occasione di entrare in contatto diretto con lei e guardarne da vicino i gesti e soprattutto i quadri. Durante una delle sue visite il ragazzo si imbatte in Miriam, l'unica persona che sia stata capace di avvicinarsi a Valerie prima di lui.
Orazio e Miriam, ciascuno a suo modo, contribuiscono alla rottura del rassicurante ma, allo stesso tempo, quasi inumano equilibrio consolidatosi nella vita di Valerie, fino al precipitare degli eventi che la costringono a ritornare nel mondo e a dare nuovo senso alla propria vita, al proprio passato e alle proprie tele.

sabato 13 febbraio 2016

Nota #2 a Le tele di Valerie ovvero come acquistarlo

In genere mi lamento dei ritardi, ma questa volta, a sorpresa, mi sono ritrovata in vendita in anticipo Le tele di Valerie. 
E dunque, non vorrei dare l'impressione di essere una sorta di venditrice porta  a porta ma... per chi volesse acquistarlo, fornisco qualche link utile:
lo si può trovare sul sito della casa editrice Montedit
lo trovate su ibs
e, non ci crederete, ma anche su libreriauniversitaria.it
A cercar bene lo si scova anche da qualche altra parte, ad esempio qui.

martedì 9 febbraio 2016

Nota #1 a Le Tele di Valerie

Tra circa una settimana dovrebbe entrare in commercio Le tele di Valerie, il mio primo romanzo, edito da Montedit e vincitore del Premio Jacques Prévert 2015. Per i pochi amici che lo hanno già letto non ha bisogno di troppe presentazioni, tuttavia scrivo questa piccola nota per rispondere proprio a una delle domande più ricorrenti che mi sono sentita porre da chi ha già avuto il libro tra le mani. 
Com'è nato il romanzo? Da dove è saltata fuori l'idea? Trovo non poche difficoltà a rispondere, perché la base del libro non si trova in un'idea venuta da fuori, ma nelle immagini, perché prima di pensarlo in maniera "sistematica" l'ho visto... Certo, non nella realtà che mi circonda, l'ho immaginato più che visto con gli occhi, ma resta il fatto che non mi sono messa lì, partendo da uno spunto, a costruire una trama, che tra l'altro ne Le tele di Valerie è quasi secondaria. Il romanzo è nato da sé, sbocciando da un nucleo iniziale di episodi-cardine che solo in seguito ho ordinato in base a delle idee. Da dove siano venuti gli episodi dei quali sto parlando lo renderò noto dopo aver consultato un abile psicologo... cioè, probabilmente, mai...Quanto di reale c'è ne Le tele di Valerie? Tutto e nulla, vale a dire che le sensazioni sono autentiche, così come le parole dei personaggi, che sono quanto di più sincero potessi dire, ma i fatti sono irreali, direi addirittura (volutamente) improbabili. Tutto è vero, nulla è reale.
Alla fin fine un'idea di base c'è, ma sta dietro al romanzo prima che al suo interno; è quella secondo la quale l'arte dice la verità attraverso la finzione e, se non fa questo, l'irremovibile substrato filosofico che alberga in me si rifiuta di riconoscerla come arte. Quelle piccole e grandi verità di fondo possono assumere qualsiasi forma, ma non possono mancare. Si travestono da narrazione, prendono in prestito il corpo dei personaggi, ma nessuna descrizione fine a se stessa può sostituirle.

lunedì 25 gennaio 2016

Dalla teoria alla pratica del romanzo

A quanto pare, a fine mese, avrò tra le mani il mio primo romanzo, stampato e pubblicato... A causa di una buona dose di scetticismo degno di un  San Tommaso, fino a quando non lo toccherò, non crederò fino in fondo alla cosa, pertanto, in attesa della verifica, presento qualcosa di più breve e conciso di un romanzo. 
Qualche giorno fa ho ricevuto le mie belle copie di una raccolta di saggi di filosofia, Frammenti di filosofia contemporanea XI, edito da Limina Mentis; chi si dovesse avventurare nella lettura di un simile volumetto (che penso entrerà presto in commercio) si imbatterà anche in un breve saggio scritto da me, dal titolo Peter Szondi sul romanzo
Insomma, prima di scrivere, penso che non guasti un po' di sana teoria, per capire esattamente a che razza di creatura stiamo dando vita quando mettiamo la penna sul foglio per costruire una storia. Nel caso specifico sono partita dalle riflessioni del critico ungherese Peter Szondi, che ebbe non poca familiarità con le opere di Hegel, Friedrich Schlegel, Schelling, Lucacs e molti altri illustri autori, per ricavare qualche informazione interessante riguardo a questo genere letterario che tanta diffusione sta avendo in questi anni.