giovedì 25 aprile 2019

Paul Celan, il poeta che diede voce ad Auschwitz


Il poeta ebreo Paul Celan visse direttamente il dramma del genocidio e trascorse il resto della vita, fino ai limiti della follia, a mettere in versi l’indicibile

Nel 1949 uno dei maggiori filosofi del ‘900, Theodor W. Adorno, rese pubblica per la prima volta una tesi che sarebbe passata alla storia, quella secondo la quale non ci può essere poesia dopo Auschwitz. Quali parole, infatti, utilizzare per descrivere l’orrore? L’Olocausto mise il mondo di fronte all’impotenza e all’irrimediabile insufficienza del dire.      
Il poeta Paul Celan, originario di Czernowitz e, come Adorno, ebreo, invece, del dar voce a chi voce non aveva più fece un imperativo per tutta la durata della sua vita. Il confronto con la “sentenza” adorniana fu inevitabile, tuttavia la constatazione di ordine teorico dalla quale Celan partì diede basi solide ad ogni suo singolo verso.       
Cantare l’indicibile richiedeva strumenti poetici nuovi, adeguati all’argomento, e questi nuovi mezzi Paul Celan li cercò e li trovò in un generale sovvertimento della concezione tradizionale del linguaggio: non si poteva parlare di Auschwitz fintanto che si fosse tentato di farlo con il linguaggio adoperato fin a quel momento. Il tedesco, la lingua adoperata dal poeta, la lingua del “nemico”, doveva essere totalmente sovvertita per poter risultare più efficace di quel silenzio che costituiva l’unica alternativa ad essa     
E così nelle opere di Celan sparì prima di tutto la distinzione tra significante e significato: la parola nelle sue liriche non è un segno per qualcosa che sta al di là di essa, propriamente la parola celaniana non dice, è.
La poesia è un luogo reale e comporla non vuol dire riprodurre una realtà, essa è creazione nel senso più radicale del termine, è produzione e non riproduzione di qualcosa di già esistente.
Il critico di origine ungherese Peter Szondi, amico del poeta, così si esprimeva in relazione a Stretto, una delle sue liriche più famose: “il testo stesso rifiuta di porsi al servizio della realtà, di continuare a giocare il ruolo che gli si assegna a partire da Aristotele. La poesia cessa di essere mimesis, rappresentazione: diventa realtà. Realtà poetica, beninteso, testo che non segue più una realtà, ma si progetta esso stesso, si costituisce in realtà”.          
E in linea con ciò, dunque, la landa della quale parla Celan all’inizio della stessa poesia è il testo stesso che smette di rappresentare per offrire al lettore una realtà mai vista precedentemente, sconosciuta perché mai stata prima.       
La tragedia dell’Olocausto non poteva avere voce, Celan provò a donargliene una, provò a trovare le parole per tutti coloro che non avevano avuto modo e tempo di averne; con quelle stesse parole, poi, creò una realtà inedita, perché, stando a quanto detto dello stesso Celan, “la realtà non è, la realtà va cercata e conquistata”. La poesia celaniana è il luogo in cui  accade l’indicibile.     

(Precedentemente pubblicato in https://www.zerottonove.it/   

sabato 6 aprile 2019

Robert Musil, l’amore e il caso

Pubblicata nel 1911, la novella Il compimento dell’amore di Robert Musil, all’epoca già autore de I turbamenti del giovane Törless, ebbe scarso successo, non da ultimo per la complessità che, dietro un tema apparentemente semplice, celava fondamentali problemi filosofici 

C’è un testo di Robert Musil che, per la sua brevità, sembrerebbe non poter essere scaturito dalla stessa penna che ha prodotto L’uomo senza qualità; tuttavia, non appena si dà inizio alla lettura, ci si rende conto che l’inconfondibile marchio di fabbrica è inequivocabilmente presente anche in questo scritto.   
Il compimento dell’amore, recita il titolo, ma della banalità di taluni racconti d’amore questa novella ha ben poco, per non dire nulla; il legame che intercorre tra la protagonista, Claudine, e l’uomo amato, sembrerebbe quasi una maschera che consente, però, di intravedere questioni di più ampia portata.     
L’occasione di un viaggio, il temporaneo distacco dal compagno di vita danno modo a Claudine di percepire tutta l’accidentalità della sua condizione di compagna di quell’uomo soltanto: è la casualità che nessuno vorrebbe mai ammettere, quella della scelta dell’amore.       
Proprio questa ferma percezione del caso dietro ogni apparente necessità si fa strada sempre più viva nello scritto di Musil, supportata dall’evocazione di un passato personale della protagonista radicalmente differente rispetto al presente. L’instabilità, l’assenza di scelte esclusive caratterizzava la vita precedente, la stabilità del legame sembrerebbe la prerogativa del presente.          
Ma a restituire il presente all’instabilità giunge la prospettiva del tradimento, non necessario, né supportato da un sentimento forte: è il fascino della possibilità che seduce la protagonista, la possibilità di essere altro se non addirittura nulla di determinato. Ogni presa di posizione, ogni imposizione della volontà che si orienta in una direzione piuttosto che in un’altra appare quanto mai evanescente e priva di ragione.
Ciò che descrive Musil va ben al di là del semplice mettere in dubbio la scelta di un compagno di vita, lo scrittore è infatti capace di far sì che ci si apra davanti l’abisso dell’incoerenza della personalità e della vita di ogni individuo; “si incide una linea, una linea qualsiasi semplicemente continua, per aggrapparsi a se stessi in mezzo all’esistenza delle cose che da essa si erge muta; questa è la nostra vita; qualcosa come quando si parla senza interruzione e si finge con noi stessi che ogni parola sia legata alla precedente e richieda la successiva, perché si teme di barcollare in qualche inimmaginabile modo e di essere dissolti dalla quiete nel momento del silenzio lacerante; ma è solo paura, solo debolezza dovuta alla casualità di tutte le nostre azioni che si spalanca tremenda”.       
Ciò che si rivela, non senza tormento, alla protagonista del breve scritto di Musil, così come si rivelava anche al giovane Törless, è l’impossibilità dell’uomo tutto d’un pezzo: tracciare quella linea retta dall’inizio alla fine della vita è rassicurante quanto ingannevole e, a guardarla da vicino, questa linea si sfibra, mostra insospettabili lacerazioni e tentativi di ricucitura più o meno riusciti.  
Alla fine il tradimento si compie ed è il trionfo della casualità, un puro gioco con la possibilità; e all’uomo che le chiede se per lui provi amore, Claudine risponde: “No, amo il fatto di essere con lei, il fatto, il puro caso che io sia con lei”.           
Paradossalmente per Musil il compimento dell’amore si concretizza con l’infedeltà, “quel poter esistere come per tutti e tuttavia solo per uno”.     


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