martedì 25 luglio 2023

Case fiorentine da incubo. Parte 1: la casa con due bagni

Ale e io rispondiamo a un annuncio su uno dei tanti siti che ormai ispezioniamo da mesi. Dalle foto, come spesso accade, non si comprende benissimo quali siano le reali condizioni della casa, però è a Firenze centro, a dieci minuti dal mio posto di lavoro, e soprattutto il costo dell’affitto, di “soli” 700 euro + spese, rientra nel nostro budget. Fissiamo un appuntamento. La casa sembra luminosa dalle foto, c’è addirittura un balconcino e pare ci siano niente di meno che due bagni! Ci chiediamo che cosa abbiamo fatto perché cotanta fortuna sia toccata a noi… Certo, il pavimento sembra messo un po’ male dalle foto, ma ci si può passare su… in tutti i sensi. Arriviamo davanti al portone. Ci accoglie l’inquilina prossima al cambio di abitazione affacciandosi alla finestra e gridandoci di salire. Già sulle scale notiamo le scarse condizioni igieniche della palazzina. Vedo Ale che con lo sguardo comincia a cercare la via di fuga, ma non ci scoraggiamo. Scopriamo subito, dalla lista che l’inquilina tiene in mano, che ci sono altre sedici persone, oltre a noi, a contendersi la “reggia”, quindi bisogna guardare tutto in fretta, decidere prima di subito e comunicare ieri al proprietario se la casa ci piace per bloccarla. L’ingresso sembra quasi normale, quasi perché è evidente che il pavimento sconnesso in cotto è più sconnesso di quanto apparisse in foto. Insomma, è chiaro che dal 1920 circa non è stato cambiato. In giro ci sono anche tante piante, ovunque, su ogni ripiano, da quello del frigo a quello della malmessa lavatrice. L’effetto Amazzonia è forte, ma supponiamo, speriamo che gli inquilini le porteranno via con sé. Niente contro il tentativo di dare un polmone verde a Firenze, magari bastano le Cascine… Passiamo alla camera da letto, che sembra accettabile, ma ovviamente quasi nulla di ciò che c’è resterà lì. Il pezzo forte, però, sono i bagni! Uno lo vediamo già all’entrata; c’è la doccia, il bidet (merce rara a Firenze centro!), il lavandino… e basta! Una porta – che è più una tavolaccia verniciata – completa il quadro. Ci chiediamo dove sia l’altra parte del bagno, a questo punto. E dove potrebbe mai essere se non in cucina!? È ovvio che il posto migliore in cui posizionare il water (insieme a un microscopico lavatoio) sia dietro una porta (?) piena di buchi e che non si chiude bene, a due passi dal tavolo da pranzo (che – per inciso – giace sotto il peso di un altro vaso con rigogliosa pianta)! Inizio a vedere l’espressione di disgusto che si dipinge sul volto di Ale. Già ce l’ha di default, ma in casi speciali come questo si accentua esponenzialmente. Posso quasi vedere i suoi pensieri, intenti nella ricostruzione della giornata ideale in quella casa così… verde. Anche il balconcino, l’altro “lusso” della casa, ci riserva una sorpresa. A discrezione dell’utente può diventare un trampolino di lancio verso il vuoto, perché il parapetto è costituito da una tavola di legno messa lì ad hoc. Facciamo qualche domanda di routine, veloce e con un certo imbarazzo. Ale sta già con un piede fuori dalla porta, pronta alla fuga. Promettiamo di pensarci, di contattare eventualmente il proprietario. Ce ne andiamo consapevoli che a Firenze una casa con due bagni non la troveremo più. La supererà, forse, solo quella con il water nella doccia, che abbiamo deciso a malincuore di non visitare.

giovedì 22 giugno 2023

L'invisibile parola fine all'inizio di ogni libro

 

Durante un corso all’università un mio professore disse che si potrebbe scrivere un libro sulla storia di ogni libro. Il riferimento era a Catullo, ma penso che questa affermazione possa essere valida anche per molti libri di oggi. Sì, perché il libro – quell’oggetto composto di pagine e inchiostro che uno si ritrova a leggere – è il punto di arrivo di un processo e su ogni prima pagina ci dovrebbe essere scritta la parola “fine”.

Ogni volta che ho dato l’ok alla pubblicazione di un mio testo, ho provato una sensazione di resa incondizionata. Ho deposto le armi che avevo rivolto contro me stessa e si è placato il demone che mi suggeriva incessantemente di rimaneggiare tutto, di tagliare, aggiungere, talvolta di cestinare ogni cosa. Perché è ovvio che un’idea si possa esprimere sempre con più chiarezza, che una scena si possa descrivere con parole più esatte. Il meglio è sempre una virgola più in là. Il limite a questa avanzata potenzialmente illimitata va posto “artificialmente”. È, appunto, l’invisibile parola “fine” posta all’inizio di ogni libro.

I giorni di Saturno è stato materia soggetta al cambiamento per anni. Le prime righe le ho scritte subito dopo la pubblicazione del mio primo romanzo, Le tele di Valerie. Mi ero laureata da poco, come una delle due protagoniste. Avevo venticinque anni e il vuoto davanti. Dopo un’eccellente (stando a quanto dicevano i numeri) carriera universitaria, mi ero arenata completamente. Stavo sperimentando nella maniera più bruciante e brutale che tutto quello in cui avevo creduto era soltanto splendida aria fritta.

Edizioni Montag
Foto di copertina: Alessia Cinque
(@phive_project)

Avevo bisogno di demolire la mia vecchia vita e imparare a credere in qualcosa di diverso. È in questo clima che si è formato I giorni di Saturno, è nato da quel peso che ha aumentato la gravità dentro me fino al collasso di buona parte delle mie convinzioni.

Avevo venticinque anni e una parvenza di soluzione ai problemi di allora si è affacciata timidamente alla mia esistenza quasi dieci anni dopo. Solo dopo un’infinità di catastrofi emotive, un paio di traslochi dell'anima e qualche nuovo valore da edificare a colpi di consapevolezza, si è stabilita la giusta distanza tra me, Sibilla ed Elena, le protagoniste del libro. Solo adesso possono camminare da sole.

I giorni di Saturno uscirà a fine giugno.