martedì 26 febbraio 2013

Essermi fedele

Non è vero che non ho rimpianti o rimorsi, ci sono stati bivi di fronte ai quali avrei voluto tanto sedermi nell'angolo più remoto della mia vita a guardar scorrere la mia esistenza e semplicemente non scegliere, perché il solo fatto di effettuare una scelta mi avrebbe resa (e di fatto mi ha resa) colpevole. 
In momenti come quelli ti rendi conto di cosa volesse intendere un tale signor Kafka ritenendo che l'esistenza stessa fosse irrimediabile colpa. In momenti come quelli capisci che non sempre l'alternativa è tra bene e male, come ti hanno insegnato da piccola, perché la vita non è paragonabile ad un quesito a scelta multipla in cui c'è una risposta esatta tra tante sbagliate, semmai somiglia di più ad una stramaledetta domanda aperta: la risposta esatta la si può formulare in infiniti modi ma altrettanti sono i modi di sbagliare.
Si è vili a volte, ci si lascia trascinare dalla corrente più forte, quella che ci toglierà il peso della scelta, forse perché così ci si sente un po' meno colpevoli, solo parzialmente responsabili; quanto costi questo lasciarsi trascinare lo si capisce sempre troppo tardi, quando ci si accorge di abitare una pelle che non ci appartiene, in un luogo che non ci appartiene. 

Sono stata alla deriva senza saper nuotare e ho lottato per tenermi a galla, senza neppure ricordare esattamente il motivo di quel naufragio ho sentito di aver tradito me stessa prima di chiunque altro, perché ogni scelta mancata, ogni costrizione che ci si lascia imporre, anche se ha la più dolce delle apparenze, è un tradimento contro se stessi.
Vorrei finalmente trovare la forza di archiviare rimpianti e rimorsi perché solo allora potrò sentirmi libera di essermi fedele.

venerdì 22 febbraio 2013

Quindici, ventiquattro, quaranta

Sin da quando avevo quindici anni, ho sempre pensato di averne in realtà quaranta... Da una quindicina di giorni ne ho ventiquattro: sembra quasi che mi piaccia giocare coi numeri, mescolare un po' le carte, fino a confondermi io stessa e non saper rispondere, se non dopo qualche secondo, alla tanto comune domanda "Quanti anni hai?". "Ho deciso di averne quaranta" vorrei rispondere e invece mi costringo a fare quel veloce calcolo che la mia mente si rifiuta di aggiornare di anno in anno. Non mi sono mai sentita tipo da vent'anni, è un'età che mi si addice veramente poco, almeno quanto mi si addicono poco le attività tipiche dei ventenni. Vivo male la mia giovinezza come molti sono destinati a vivere male la propria vecchiaia.

sabato 16 febbraio 2013

Impossibili tentativi di definizione

Certe volte mi riscopro una persona estremamente ordinaria, succede tutte quelle volte che mi sorprendo a riflettere su un concetto comune come quello di amore. 
Dico che "mi sorprendo" perché la parte di me che è solita supervisionare i ragionamenti nei quali un'altra parte della testa si perde tollera poco l'immersione in un certo tipo di argomenti che sa, sin da principio, essere dei veri e propri labirinti di parole. 
Nonostante ciò, a volte, sento quasi la necessità di provare a dare una definizione, di porre finalmente i due punti e una bella frase esplicativa, lunga o breve che sia, dopo la parola "Amore": è semplice volontà di controllo, perché possedere una definizione vuol dire avere un termine di controllo per quello che non si riesce a capire. 
Il fallimento è assicurato: a molte definizioni manca qualcosa, alcune mi sembra che dicano addirittura più di quello che dovrebbero, nessuna riesce a cogliere quel denominatore comune che tutti, me esclusa, sembrano vedere tanto chiaramente.
 Allora mi rassegno all'idea che, evidentemente, non sono in grado di dare una definizione perché l'amore di cui tutti parlano non lo conosco affatto; se mai ho amato l'avrò fatto in una qualche maniera assurda che esclude la codificazione in linguaggio umano.

giovedì 7 febbraio 2013

Errori di dosaggio

La capacità di sentire non consente anestesie locali: avrei voluto neutralizzare solo la mia sensibilità al dolore ma insieme a quella ho affidato alle braccia di Morfeo anche la capacità di provare gioia. 
Che poi si può effettivamente dire che l'abbia anestetizzata? Probabilmente, se di anestesia si è trattato, ho fatto male i conti, ho sbagliato il dosaggio e ho finito per ucciderla.

venerdì 1 febbraio 2013

Fare i conti col negativo

Il fatto che un esame sia stato fatto e superato non vuol dire che non mi abbia lasciato, oltre che un mare di dubbi, delle piccole verità che, a ben guardare, possono rivelarsi delle chiavi di lettura per l'intera esistenza.
Lancio un'occhiata agli appunti e il mio mitico professore di Filosofia e teoria del linguaggio e della comunicazione dice: 
Ogni esistente è tanto più alto quanto più ha in sé la negatività. Un popolo civile non è un popolo buono, è un popolo che ha completamente assorbito in sé la barbarie. Maggiore è la forza dello spirito, maggiore è la sua negatività interna.
La cosa mi ha fatto pensare subito a tutti quelli che si prodigano per espellere da sé la negatività, combattere il male, eliminare ogni forma di corruzione; si precisa che la sottoscritta non è immune da tentazioni di questo tipo, e le chiamo tentazioni a questo punto perché è quasi illuminante pensare a come in realtà la via della "salvezza" sia esattamente quella opposta. La pura e semplice verità è che la negatività (o in qualunque altro modo la si voglia chiamare) non è mai eliminabile; se l'uomo riuscisse ad epurarsi dal "male" (metto il termine tra virgolette perché fa sempre un po' ridere parlare di bene e male visti i contesti ai quali vanno ricondotti i termini) che lo abita non sarebbe più uomo, perché per essere precisi l'uomo non è abitato dal "male", l'uomo è piuttosto anche quel "male". 
Da qualche parte ho letto che la coscienza sarebbe poca cosa se non avesse quel gigantesco avversario che è l'inconscio, che desidera tutto e a qualsiasi prezzo, un avversario che, a ben vedere, la compenetra e si manifesta in essa. L'uomo è inconscio o coscienza? Probabilmente nessuno dei due, perché entrambi: l'uomo può dirsi tale solo nella misura in cui la sua coscienza riassorbe in sé quanto l'inconscio le ha presentato di più devastante. Quanto più è inaccettabile quello che ci troviamo di fronte, tanta più forza è necessaria per far sì che diventi parte integrante di noi: siamo tanto più elevati quanto più riusciamo ad essere pienamente quello che non vorremmo essere ma siamo.