martedì 9 febbraio 2016

Nota #1 a Le Tele di Valerie

Tra circa una settimana dovrebbe entrare in commercio Le tele di Valerie, il mio primo romanzo, edito da Montedit e vincitore del Premio Jacques Prévert 2015. Per i pochi amici che lo hanno già letto non ha bisogno di troppe presentazioni, tuttavia scrivo questa piccola nota per rispondere proprio a una delle domande più ricorrenti che mi sono sentita porre da chi ha già avuto il libro tra le mani. 
Com'è nato il romanzo? Da dove è saltata fuori l'idea? Trovo non poche difficoltà a rispondere, perché la base del libro non si trova in un'idea venuta da fuori, ma nelle immagini, perché prima di pensarlo in maniera "sistematica" l'ho visto... Certo, non nella realtà che mi circonda, l'ho immaginato più che visto con gli occhi, ma resta il fatto che non mi sono messa lì, partendo da uno spunto, a costruire una trama, che tra l'altro ne Le tele di Valerie è quasi secondaria. Il romanzo è nato da sé, sbocciando da un nucleo iniziale di episodi-cardine che solo in seguito ho ordinato in base a delle idee. Da dove siano venuti gli episodi dei quali sto parlando lo renderò noto dopo aver consultato un abile psicologo... cioè, probabilmente, mai...Quanto di reale c'è ne Le tele di Valerie? Tutto e nulla, vale a dire che le sensazioni sono autentiche, così come le parole dei personaggi, che sono quanto di più sincero potessi dire, ma i fatti sono irreali, direi addirittura (volutamente) improbabili. Tutto è vero, nulla è reale.
Alla fin fine un'idea di base c'è, ma sta dietro al romanzo prima che al suo interno; è quella secondo la quale l'arte dice la verità attraverso la finzione e, se non fa questo, l'irremovibile substrato filosofico che alberga in me si rifiuta di riconoscerla come arte. Quelle piccole e grandi verità di fondo possono assumere qualsiasi forma, ma non possono mancare. Si travestono da narrazione, prendono in prestito il corpo dei personaggi, ma nessuna descrizione fine a se stessa può sostituirle.

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