domenica 25 novembre 2012

Futuro e speranza

C'è una parola che non piace molto ai giovani d'oggi e, ad esser sincera, a me meno che agli altri: la parola futuro, che mi fa girare le scatole almeno quanto la parola speranza.
Il nesso tra i due concetti (sì, passiamo dalla parola al concetto) è evidente, visto che quando si spera lo si fa per il futuro (ancora ho in testa la cantilena della professoressa di latino col suo "spero, promitto e iuro vogliono sempre l'infinito futuro!") ed è altrettanto evidente che una delle prime cose che si deve imparare a fare, per non cadere sotto il fuoco nemico della realtà contemporanea, è disimparare a sperare, per il semplice fatto che farlo significherebbe esporsi ad ogni sorta di delusioni in seguito all'alienazione di possibilità che sono e devono restare prerogativa di ogni singolo individuo e non essere affidate ad una qualche oscura e dubbia potenza esterna (si spera sempre rispetto a qualcosa al di fuori di noi, a qualcosa che pensiamo di non poter controllare).
Finirla con le speranze vuol dire in qualche modo distogliere lo sguardo dal futuro, da qualcosa che non è (e non serve a nulla dire "non è ancora", che non sia ancora o non sia più non cambia la sostanza, cioè che semplicemente non è!) ma che vediamo già come bell'e formato, come se fosse stato qualcun altro a metterlo là per noi: a noi spetterebbe solo di raggiungerlo, sperando di incontrare meno ostacoli possibili sul nostro cammino. Quel che si perde è la coscienza del fatto che davanti ai nostri piedi non c'è la benché minima traccia di un cammino, nessuna strada, neppure uno stretto sentiero: per avanzare si deve costruire e, prima di muovere un passo, si deve necessariamente preparare il terreno. Non ci si può identificare con la meta, che di per sé non esiste se non quando la si è già raggiunta, piuttosto ci si dovrebbe identificare con la strada stessa e rendersi consapevoli del fatto che, costruendo la via, costruiamo noi stessi.

A volte, invece, sembra quasi che l'idea di futuro abbia un effetto depotenziante sull'individuo, quasi esercitasse una sorta di coercizione che impedisce di pensare che le reali forze costruttive sono a sua disposizione qui ed ora e che il senso (direzione,via) della vita è una sua responsabilità, presente ad ogni istante.

La "positività" che dimostro in serate come queste quasi mi spaventa...

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