giovedì 21 marzo 2013

Bugie senza colpa: quarto risveglio


QUARTO RISVEGLIO

Mi sentii punzecchiata ripetutamente, prima ad un braccio, poi ad una guancia, sempre più forte.
- Cosa ci fai nella mia casetta?- sentenziò, a mo’ di rimprovero, la bambina china su di me non appena aprii gli occhi.
Ero raggomitolata a terra, tutta infreddolita e, il primo istinto, appena sveglia, fu quello di stringermi ancora di più su me stessa e proteggermi il volto con le braccia. Quando vidi che la bambina non accennava a smuoversi dalla sua posizione di giudice, con le braccia strette intorno alle ginocchia, in attesa della mia risposta, mi tirai su e mi misi seduta. Alzarmi in piedi non potevo perché la casetta era troppo bassa; era uno di quei giocattoli a misura di bambino, tutta in plastica e posizionata al centro del giardino.
La sera prima ero fuggita dal caos di una festa organizzata dalla sorella maggiore della bambina che adesso mi stava davanti, mi ero rifugiata in quella casetta e mi ci ero addormentata.
- Perché non mi rispondi?
- Perché mi sono appena svegliata…
Mi guardò con aria sospetta e non sembrava affatto soddisfatta della mia risposta.
- Stai tranquilla, me ne vado subito – aggiunsi per rispondere alla sua titubanza.
Raccolsi i miei occhiali da terra e afferrai la borsa che mi aveva fatto da cuscino; la bambina mi lasciò uscire gattonando dal suo territorio e fu in quel momento che mi resi conto che era già giorno. Imprecai contro me stessa ed iniziai a correre; la bambina prese subito ad inseguirmi gridando ed agitando il mio cellulare tra le mani: feci retromarcia, recuperai il telefonino e ripartii lasciando in una certa confusione la bimba.
Mentre correvo, cercai di ricostruire la giornata precedente.
Ero stata invitata a quella stupida festicciola a casa di una mia compagna di classe, festicciola alla quale non avevo la minima intenzione di partecipare; la mia migliore amica, però, aveva insistito affinché ci andassi, perché, senza di me, sarebbe saltata la possibilità di propinare una scusa credibile ai suoi e, con essa, l’occasione di vedere il ragazzo che le piaceva.
Com'era prevedibile, dopo mezz'ora, mi ero ritrovata da sola nel caos più totale, ad osservare il tutto dal mio angolino; dopo un’ora, neppure l’angolino mi era sembrato più tanto adatto al mio pessimo umore ed ero uscita in giardino, dove avevo notato la casetta di plastica. Da piccola avevo sempre desiderato un rifugio del genere, senza mai riuscire ad ottenerlo, quindi, senza pensarci due volte, mi ero avvicinata, chinata e, carponi, ero riuscita ad entrare dalla porta senza incastrarmi: era abbastanza spaziosa dentro ma non troppo alta, dunque mi ero rannicchiata e lì mi ero addormentata.
Che diavolo mi era saltato in mente? E perché la mia amica non era venuta a cercarmi? Non fosse stato per la bambina, chissà per quanto tempo ancora sarei rimasta a dormire lì dentro!
Non sarei mai arrivata a casa a piedi, quindi decisi, mentre notavo con preoccupazione le varie chiamate perse sul cellulare, di prendere l’autobus che sarebbe passato di lì a cinque minuti.
Corsi a perdifiato per raggiungere in tempo la fermata: difficilmente avrei sperimentato un risveglio altrettanto movimentato in futuro! Arrivai giusto in tempo, saltai su e rovistai nella borsa per cercare i soldi per il biglietto: ritenni quasi un miracolo il fatto di trovare al primo colpo le monete necessarie.
Sul pullman c’era solo una signora dall'aria annoiata che alzò lo sguardo quando passai vicino al suo posto. Dovevo avere un aspetto orribile, ero stanca e infreddolita e avrei dato di tutto pur di essere al caldo nel mio letto. Avrei dato ancora di più per non essere mai andata a quella stupida festa la sera prima; le odiavo le feste, non ero mai a mio agio nei luoghi affollati e rumorosi perché, dopo poco, m’intristivo e mi ritiravo nell'angolo meno in vista con la vana speranza di sparire nel nulla.
Ma la festa era acqua passata: il vero problema era che cosa avrei raccontato una volta a casa!
Pensavo proprio ad una scusa qualsiasi quando l’autobus si fermò per far salire un ragazzo minuto con una rosa stretta in una mano: la cosa era strana, ma pensai anche a quanto fosse bella quella scena di prima mattina. Avevo un’inspiegabile attrazione per gli avvenimenti inusuali: dormire nella casetta era stato un gesto sciocco, bizzarro ma, in fondo, bello nella sua stranezza.
Il ragazzo scese alla fermata prima della mia, proprio nei pressi dell’abitazione della più antipatica tra le mie compagne di classe e, se quella rosa era destinata a lei, pensai, era decisamente sprecata!
Scesi dopo dieci minuti e, nonostante la stanchezza, forse per ritardare il momento dell’impatto con la mia famiglia, non presi l’ascensore e risalii lentamente le scale, fino al terzo piano, dove abitavo.
Cercai di non far rumore entrando ma, la prima cosa che notai, appena dentro, fu lo sguardo infuocato di mia madre, seduta al tavolo della cucina, con un’enorme tazza di caffè tra le mani.
- Meno male che alla festa non ci volevi andare! – disse con tutto il sarcasmo di cui fu capace.
– Si può sapere dove hai dormito? Ammesso che tu abbia dormito! – aggiunse.
Decisi in quel momento, su due piedi, di essere sincera.
– Ho dormito - risposi abbassando gli occhi, consapevole del fatto che lei, invece, aveva passato la notte in bianco.
- E dove, di grazia?
- A casa della mia compagna… quella della festa… Mi sono addormentata nella casetta della sorellina, nel giardino…
La cosa doveva sembrare abbastanza assurda, talmente assurda che probabilmente mia madre mi credette subito. Scoppiò a ridere.
- Sarà anche vero- disse continuando a ridere – ma per la notte in bianco giuro che me la paghi!
Mi si avvicinò, mi tolse un filo d’erba dai capelli arruffati e, dopo averlo lasciato cadere, mi diede un buffetto sulla stessa guancia che la bambina mi aveva punzecchiato col dito facendomi svegliare.
- Sai che ti dico? Io me ne torno a letto! Ci penserò dopo ad una punizione esemplare per te, signorina! Sono sicura che a mente fresca mi verranno molte più idee…
La guardai andarsene in camera, ondeggiando nella sua vestaglia bianca. Quando chiuse la porta, in casa fu il silenzio più totale; mio padre e mio fratello con ogni probabilità dormivano ancora profondamente.
Mi tolsi le scarpe nere di tela e le portai in mano fino in camera per posarle a terra solo davanti a ciò che più avevo desiderato da quando avevo aperto gli occhi: il mio letto. Non persi tempo neppure per spogliarmi, m’infilai direttamente sotto le coperte, assumendo la stessa posizione che avevo assunto nella casetta durante la notte e così mi addormentai come un sasso. 

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