lunedì 8 ottobre 2012

Imperativi

"Agisci in modo da trattare l'umanità, nella tua persona e in quella degli altri, sempre nello stesso tempo come un fine e mai unicamente come un mezzo": è la ben nota seconda formulazione dell'imperativo categorico kantiano. 
Periodicamente, questa espressione, nelle sue varianti, mi ritorna in mente e sono costretta a fare i conti con il mondo che mi sono costruita intorno. Sono quasi ossessionata dal fatto che le mie azioni e quelle di coloro che entrano in contatto con me debbano essere rispondenti alla formulazione kantiana.
In principio erano solo le mie azione ad essere passate al microscopio, con tanto di analisi dei retroscena psicologici, ma col tempo ho iniziato a domandarmi anche per quante delle persone alle quali voglio bene io sia realmente un fine e non un mezzo per altro... E c'è da dire che questo altro non necessariamente è qualcosa di cattivo o ignobile, il punto è che, per quanto possa essere nobile un fine, l'umanità dovrebbe venire sempre prima. 
Poi inizi anche a domandarti cosa si intenda per umanità; sembrerebbe un concetto tutto d'un pezzo, uno di quelli che si devono afferrare al volo, senza bisogno di ulteriori spiegazioni, invece temo che quando si dice umanità ciascuno pensi ad una cosa diversa.
Essere umani a volte è complicato...

1 commento:

  1. il mio unico imperativo è: "Tratta gli altri come trattano te" in questo modo non esisteranno iniquità. Certamente all'inizio faccio un passo in avanti, tratto gli altri cercando di accoglierli nel mio mondo poi col tempo mi adatto... Solo che se vengo usata come mezzo (come spesso mi capita) mi allontano ma non riesco a fare altrettanto (usare)! Insomma buoni propositi che se ne vanno...

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