mercoledì 8 febbraio 2012

Credere per capire

Questo pomeriggio, studiando Filosofia medievale, mi sono imbattuta in una carrellata di "ottimismo" al quale confesso di non essere più abituata, soprattutto in ambito filosofico. Lungi dall'aderire ad un facile pessimismo, penso che il giudizio etico sullo stato di cose che ci si trova ad analizzare sia una costruzione posteriore e prettamente individuale. Se, ad esempio, osservo la disposizione delle sedie in un'aula, una cosa è descrivere tale disposizione e un'altra è dire se tale disposizione sia buona o meno (per me potrebbe essere buona una disposizione caotica, per un altro no...). In molte delle descrizioni del creato dei filosofi medievali, invece, i due aspetti sono legati in maniera inscindibile: l'ha fatto Dio, dunque è buono! Nulla di male è uscito dalle mani di Dio! La scaturigine di ogni sofferenza, poi, è individuata nella volontà umana... Ed ecco la fregatura! L'uomo (o meglio, la donna) è la cellula impazzita della creazione perfetta, una cellula che, però, Dio stesso ha creato consapevole, nella sua onniscienza, che sarebbe impazzita. Tutto ciò che è, in quanto è, è buono, perché creato da Dio. E quindi è buona anche la volontà che ha portato l'uomo a peccare? Temo che qualche teologo potrebbe rispondermi che sì, la volontà che devia era parte dei progetti divini! Dunque, mi verrebbe da chiedere, non è un errore questa benedetta/maledetta volontà? 
Inizio probabilmente a porre troppi problemi che, nella mia mancanza di fede, non possono trovare una risposta... Mi ritrovo a leggere molte interpretazioni dei racconti biblici come una sorta di favoletta e mi rendo conto che la cosa non farebbe molto piacere al mio caro professore...
Tornando alla questione dell'ottimismo di questi illustri signori, direi solo che non mi entra proprio in testa, o forse dovrei dire che non mi entra nell'anima; lo sento lontano così come sentivo lontano l'ottimismo di Leibniz... Credo ci sia poco da fare, a certe cose bisogna crederci per capirle... 

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